Miguel Layún, plastificazione dei controsensi calcistici all’italiana

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Qualche giorno fa radiomercato fece rimbalzare una voce di mercato accattivante: l’Inter (ma pare anche la Fiorentina) avrebbe pensato al 26enne terzino sinistro messicano Miguel Layún per rinforzare la squadra già nel corso del mercato invernale. Trattativa comunque già sfumata, dato che il ragazzo ha firmato per il Watford, venendo poi girato in prestito al Granada (quindi è entrato nel giro dei Pozzo, patron dell’Udinese).

Una voce che immaginavo non si sarebbe concretizzata, ma certo non poteva stupire l’interesse dei Nerazzurri nei confronti dell’esterno difensivo ex America di Città del Messico: tra i migliori interpreti nell’ottima avventura mondiale del Tri, il ragazzo nativo di Cordoba ha dimostrato di poter reggere il confronto anche su palcoscenici importanti.

Eppure ai più attenti il nome di Layún non suonerà certo nuovo. Il link col nostro paese, che difficilmente va a battere strade di mercato considerate “esotiche” come quella messicana, affonda le radici indietro nel tempo, più precisamente nell’agosto del 2009. Quando l’Atalanta, dopo un lungo periodo di prova, decise di prelevarlo dal Veracruz in prestito annuale con diritto di riscatto.

A Bergamo le cose sembrarono partire benino: il ragazzo dimostrò grande impegno nel ritiro di Brentonico, mettendo in mostra buone cose durante le amichevoli estive ed esordendo in Serie A – primo messicano nella storia – a fine settembre.

In realtà, però, né Gregucci (che guiderà la squadra per le prime quattro di campionato) né Conte (subentrato dopo il 4 a 1 di Bari) faranno grande affidamento su di lui. Così a gennaio, proprio mentre l’Atalanta si troverà a cambiare nuovamente guida tecnica, le presenze sono solo due e l’addio inevitabile: lo chiama l’America, club che ha appena lasciato per ritentare l’avventura europea. Così dopo aver preso armi e bagagli Miguel Layún saluta l’Italia, amareggiato.

La sua storia penso certifichi bene buona parte dei difetti del nostro calcio. Un sistema in cui si fa fatica a guardare oltre al proprio naso, in cui non si dà tempo ai giovani di adattarsi ed imporsi, in cui spesso ci si accorge tardi del capitale dilapidato.

Così un giocatore che già cinque anni fa poteva diventare uno dei terzini più interessanti del nostro panorama è stato bocciato prematuramente e rispedito a casa, dove ha – per sua fortuna – trovato ambiente e fiducia adatta ad imporsi, vincere trofei, conquistare la Nazionale e tornare a vedere il proprio nome al centro delle trattative di mercato italiche.

Lungi da me voler gettare la croce addosso ai dirigenti atalantini, che solitamente sui giovani ci vedono bene. Il discorso è molto più ampio e riguarda tutto il nostro movimento: l’Atalanta visse una stagione molto travagliata, e vista la retrocessione di fine anno con ogni probabilità non avrebbe comunque riscattato il ragazzo. Vero però che una sua eventuale – e non così improbabile – imposizione avrebbe permesso ai bergamaschi di acquistare il cartellino per girarlo poi subito ad una qualche altra squadra di maggior lignaggio, che avrebbe potuto così acquistare un giocatore extracomunitario senza però gravare sul proprio cap, essendo a quel punto Layún già tesserato per una squadra italiana.

Invece?

Invece Miguel Layún non è stato sfruttato per quelle che erano le sue capacità, ha dovuto subire l’umiliazione della bocciatura, tornare in Messico, correre e lottare per dimostrare di essere meglio di quanto non lo ritenessimo in Italia ed, infine, venire riscoperto dai nostri operatori di mercato solo dopo un Mondiale giocato su ottimo livello.

Perché quello è un altro grosso problema del nostro sistema-calcio: la quasi totale incapacità – salvo rarissime eccezioni – di fare scouting come si deve. Affidarsi ad un Campionato del Mondo sono capaci tutti. I giocatori vanno scoperti prima. Ed è il colmo vedere che un giocatore sbarcato in Italia già cinque anni e mezzo fa sia stato ri-scoperto solo grazie a Brasile 2014…

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