Adnan Januzaj: l’ultimo della stirpe dei 7?

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La maglia numero 7 ha sempre avuto un sapore particolare. Paragonabile solo a quella della numero 10.

Maglia del “fantasista” questa, vessillo dell’ala di qualità l’altra.

Una maglia, la numero 7, che nel corso della storia è stata vestita da tantissimi grandi campioni. Troppi, per ricordarli tutti.

Una maglia, la numero 7, che assume un significato particolare soprattutto sulla sponda marchiata Red Devils di Manchester, avendo vestito nel corso della storia alcuni dei più grandi campioni del club.

Ad iniziare la leggenda di questo numero fu l’indimenticato ed indimenticabile George Best (nonostante abbia forse indossato più spesso la 11), un concentrato di qualità, talento e follia con pochi paragoni nella storia di questo splendido sport.

Nato a Belfast nel 1946 esordì allo United a 17 anni iniziando praticamente da subito a far parlare di sé come di un fenomeno.

Pallone d’Oro nel 1968, è stato inserito all’ottavo posto nella lista dei migliori calciatori del secolo scorso compilata dalla rivista World Soccer, nella “Fifa 100” (i 125 migliori calciatori viventi all’atto della pubblicazione, nel 2004) e nelle leggende del calcio del Golden Foot.

Un calciatore geniale che ha inciso a fondo la storia di questo sport, con giocate da fuoriclasse assoluto e comportamenti spesso sopra le righe.

Ancora oggi il suo nome è scritto nel libro dei record del Manchester United. George Best è stato infatti – in coabitazione con Harold Halse – il giocatore capace di segnare più reti in un solo match: ben sei, in una gara disputata il 7 febbraio del 1970 contro il Northampton Town.
Non solo: con 179 segnature all’attivo è quinto, in coabitazione con Dennis Viollet, nella classifica all-time dei migliori marcatori del club.

Su di lui se ne sono dette e scritte tante. Ma la frase che descrive meglio il personaggio la disse lui stesso:

If I’d been born ugly, you’d never have heard of Pele.
Se fossi nato brutto, non avreste mai sentito parlare di Pelé.

Quella più evocativa, invece, è uno slogan diventato famosissimo ed in voga ancora oggi, soprattutto tra Manchester e l’Irlanda del Nord:

Maradona — good. Pelé — better. George — Best”.

La leggenda della numero 7 dei Red Devils, però, non poteva finire là dove era iniziata, con George Best.

Dopo di lui fu la volta di un altro grande del calcio inglese: Bryan Robson.

Sbarcato a Manchester nel 1981, quando venne acquistato per un milione e mezzo di sterline dal WBA, Robson arriverà a scrivere importantissime pagine di storia con la maglia dei Red Devils, con cui giocherà ininterrottamente per tredici stagioni, totalizzando 345 presenze condite da 74 goal solo in campionato ed arrivando a vincere nel complesso ben 11 trofei, tra cui una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa Europea.

Fu capitano della squadra dal 1982 al 1994 (negli ultimi due anni divise la fascia con Steve Bruce), diventando così il giocatore capace di capitanare più a lungo la squadra nella storia del club.

Eletto “Ufficiale” dell’Ordine dell’Impero Britannico nel 1990, è stato iscritto nella Football League 100 Legends otto anni più tardi e nella English Football Hall of Fame nel 2002. E’ stato anche inserito nella lista dei 16 migliori giocatori della storia del West Bromwich Albion in occasione del 125esimo anniversario di fondazione del club.

Insomma, se George Best è un’icona per molti appassionati di calcio sparsi un po’ in ogni luogo, Bryan Robson lo è nondimeno per i supporter dei Red Devils, che vedono in lui, letteralmente, il capitano di mille battaglie.

La leggenda della gloriosa numero 7 continuò dunque poco più tardi, quando passò sulle spalle di Eric Cantona.

Il fenomeno francese, che in quanto a bizze caratteriali dimostrò di non essere secondo nemmeno al grande Best, giocò quattro stagioni e mezza allo United, arrivando ad indossare il glorioso 7 come eredità diretta di Bryan Robson. Da cui, dopo un paio di stagioni legata al braccio di Steve Bruce, ereditò anche la fascia da capitano, diventando il primo giocatore nato fuori dal Regno Unito e dalla Repubblica d’Irlanda ad indossarla.

Di Cantona si è detto tutto ed il contrario di tutto. E di lui in molti si ricordano soprattutto quell’aggressione ad un tifoso che lo sbattè sulle prime pagine di molti giornali non per una giocata, ma per un atto di follia.

Eppure il ragazzo di Marsiglia era in primo luogo un calciatore superbo, efficace sottoporta quanto geniale con la palla al piede.

Un calciatore che nella sua non eccessivamente lunga permanenza in maglia Red Devils aiutò a vincere ben 4 Premier League, 3 Charity Shield e 2 FA Cup, portando a 14 il conto totale dei suoi trofei.

Cui, a livello individuale, ha saputo aggiungere anche una sfilza di riconoscimenti di prestigio. Tra questi il terzo posto al Pallone d’Oro del 1993 (dietro a Roberto Baggio e Dennis Bergkamp), l’inserimento nella Hall of Fame del calcio inglese, nella “Fifa 100” ed il 42esimo posto nell’UEFA Golden Jubilee Poll.

Eric Cantona che decise di ritirarsi giovanissimo, al termine della stagione chiusasi nella primavera del 1997 (a soli 31 anni). Lasciando così in eredità la sempre più gloriosa numero 7 ad un ragazzo giunto giovanissimo a Manchester, ancor prima che ci sbarcasse il funambolo francese: David Beckham.

Un giocatore che fu tra i punti di forza dello United dei famosissimi Fergie Boys, capace, negli anni, di vincere un po’ di tutto e un po’ ovunque.

Tocco morbidissimo, calcio fatato, traiettorie taglienti: se non avesse avuto un destro baciato da Dio Beckham sarebbe probabilmente stato un giocatore piuttosto normale, con chance di fare bene. Ma mai sarebbe diventato l’icona mondiale che – anche grazie ad una bellezza che lo ha fatto diventare l’idolo di molte ragazzine – è diventato.

Spice Boy che nell’arco delle sue otto stagioni passate da protagonista allo United ha saputo collezionare qualcosa come 6 Premier League, 4 Community Shield, 2 FA Cup, 1 Champions League ed 1 Coppa Intercontinentale, arricchendo in maniera molto significativa la propria bacheca (che andrà a ritoccare ancora tra Madrid, Los Angeles e Parigi).

Tanti anche i riconoscimenti individuali. Tra questi i più significativi restano il suo inserimento nella Hall of Fame inglese e nella “Fifa 100”.

In tempi più recenti, poi, è stata la volta del fenomeno lusitano Cristiano Ronaldo. Il quale ha voluto un po’ ricalcare le orme lasciate dallo stesso Beckham incantando Old Trafford per poi andare a stuzzicare la fantasia dei tifosi del Real Madrid.

Sbarcato allo United nel 2003, totalizzerà 292 presenze in maglia Red Devils, condendole con ben 118 reti (42 nella sola stagione 2007-2008). Contribuendo così alla vittoria di 3 Premier League, 2 Football League Cup, 1 FA Cup, 1 Community Shield, 1 Champions League ed 1 Mondiale per Club.

Un fenomeno assoluto, che contende a Messi la palma di “miglior giocatore al mondo”, ma che forse in quel di Manchester non si sono potuti godere – per molto – al top delle proprie capacità, avendo raggiunto la piena maturazione proprio sul finire della sua esperienza inglese (per quanto qualcuno dice che un giorno potrebbe tornare a vestire la maglia dello United).

A lui, per altro, appartengono ancora dei record di club importante: è stato il giocatore capace di segnare il maggior numero di goal da quando il campionato viene giocato su 38 match. Cosa che gli ha anche permesso di vincere, unico nella storia, la Scarpa d’Oro Europea. Inoltre è ad oggi il giocatore per cui lo United ha incassato la cifra più alta: ben 80 milioni di sterline.

Insomma, cinque giocatori di grande classe. Cinque leggende in salsa Red Devils che hanno contribuito a rendere la maglia numero 7 del Manchester United un vero e proprio oggetto di culto, un traguardo per qualsiasi calciatore di talento.

Negli ultimi anni, tra l’altro, è stata vestita anche da un ex Pallone d’Oro come Micheal Owen. Mentre la scorsa stagione fu affidata al buon Luis Antonio Valencia, giocatore di buon livello ma certo nemmeno minimamente paragonabile agli illustri predecessori di cui abbiamo parlato qui sopra.

Una consapevolezza che evidentemente deve aver sfiorato anche lo stesso esterno ecuadoriano, che prima dell’inizio di questa stagione ha optato per un cambio di numero, passando al 25. Lasciando così la mitica e gloriosa “numero 7” senza un padrone per la prima volta da quando esiste la Premier League (1992).

E per il futuro?

Impensabile che il Manchester United non arriverà mai più ad avere in squadra un giocatore degno di vestire questa maglia (e soprattutto di portarne il peso).

Altrettanto impensabile, secondo chi scrive, ritirare questo numero. Sarebbe un delitto.

Quindi?

Quindi la soluzione allo United potrebbero averla già in casa, e potrebbe rispondere al nome di Adnan Januzaj. Un ragazzo ancora giovanissimo ma che sta mettendo in mostra ottime doti. E che, esattamente come i suoi possibili illustri predecessori, ha tutto per scrivere grandi pagine di calcio in Red Devils.

Sarà lui a proseguire la dinastia dei numero 7?

Non lo so. Quel che è certo è che, come tributo, avrei pensato bene di tesserare per un anno il buon Alex Ferguson (regole permettendo, ovviamente). E gli avrei assegnato ufficialmente quel numero.
Per omaggiare un allenatore straordinario da una parte, e continuare la leggenda della maglia dei fenomeni dall’altra.

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