Ancelotti punta la perfezione

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Ho una sensazione. Che potrebbe essere sbagliata, per carità, ma mi sinistramente concreta: Carlo Ancelotti è un allenatore tutto sommato sottovalutato.

Intendiamoci, non dal sottoscritto. Ma l’impressione che in molti non riconoscano il vero valore di questo allenatore c’è, ed è pure forte.

Nel tempo su di lui ho letto e mi è stato detto di tutto: che non fosse un grande allenatore, che non faccia giocare bene le sue squadre, che sia un “mollo”… fino ad arrivare a stasera, quando qualcuno mi ha risposto dicendomi che con una coppia da 200 milioni come Ronaldo e Bale è facile vincere (e per l’amor di Dio, sicuramente aiuta… ma sono i discorsi che si fanno sempre e che si sono spesi in passato anche per Guardiola, Mourinho, ecc).

Eppure mister Carlo Ancelotti ha una carriera ed una bacheca da fare invidia.

Smesso di giocare iniziò come vice di Sacchi in Nazionale. Quella Nazionale che, come molti ricorderanno, si classificò al secondo posto nei Mondiali americani.

Al primo anno da “titolare”, sulla panchina della Reggiana, fece subito capire di che pasta era fatto: quarto posto e relativa promozione in Serie A.

Un po’ tutti i dirigenti d’Italia hanno però già capito che Ancelotti ha la stoffa del grande allenatore. Così se lo accaparra subito il Parma. Alla seconda stagione da allenatore centra subito il secondo posto. In quella successiva arriva invece quinto, disputando comunque la sua prima Champions League.

Si capisce comunque che è già pronto per un grande club.

Dopo due anni di Parma si prende una pausa, probabilmente in attesa della grande occasione. Che arriva puntualmente nel febbraio del 1999, quando la Juventus caccia Lippi ed affida proprio a lui la panchina. La situazione in campionato risulta irrimediabile, in Champions invece sfiora la finale fermandosi solo contro il Manchester United poi – rocambolescamente – campione.

Passa quindi due stagioni complete a Torino, raccogliendo, nel complesso, il maggior numero dei punti in Serie A in quel biennio. Il tutto però non gli basta a vincere nulla, se non una Coppa Intertoto. In campionato arrivano infatti prima la beffa di Perugia, col titolo che finisce alla Lazio, poi il secondo posto ai danni della Roma, che ne sancisce definitivamente il divorzio da un ambiente con cui Carlo sembrò comunque non legare tantissimo.

Così nel novembre del 2001 altro ingaggio in corsa, questa volta al Milan. Subentra a Terim e a fine stagione suggella un quarto posto che vale i preliminari di Champions. Coppa poi vinta l’anno successivo proprio contro la sua ex Juve. Stagione questa che verrà ricordata anche per la definitiva consacrazione di Pirlo a regista davanti alla difesa, oltre che per la vittoria della Coppa Italia.

In sette anni e mezzo di Milan Ancelotti vinse quindi un campionato, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, due Champions League, due Supercoppe Europee ed una Intercontinentale, costruendo per altro una delle migliori squadre viste in quel periodo a livello globale (cosa di cui molti si sono dimenticati).

Il primo giugno del 2009 sancisce quindi una svolta nella vita professionale di Ancelotti, che sbarca al Chelsea. Qui nel giro di due anni centra un primo ed un secondo posto, vincendo anche una Community Shield ed una sempre prestigiosissima FA Cup.

Il 30 dicembre 2011 prende quindi il posto di Kombouaré sulla panchina del ricchissimo PSG. Perde sì il primo campionato, a discapito del sorprendentissimo Montpellier, ma vince il secondo. Certo, impresa banale, volendo. Ma nel calcio non c’è nulla di scontato.

Forse proprio il suo passaggio in Francia, con qualche chiaro scuro, rinfocola gli animi di chi non ha mai ben digerito la sua “statura”, e così le critiche aumentano e si legge qualche “allenatore finito” qua e là.

A riprova di questo ecco il suo passaggio, nel giugno scorso, al Real Madrid. Che dopo tre semifinali consecutive ha bisogno di sfatare questo psicodramma. Potendo, fosse possibile, arrivare alla “Decima” Coppa dei Campioni della propria storia.

E beh, l’impatto è subito devastante.

Ancelotti mette a tacere tutti (tranne quelli che per giustificare le loro idee parlano dei campioni a disposizione, ma del resto con delle pippe a pedali non ci vincerebbe nemmeno un Santo) ed estrae dal cilindro una stagione con i controfiocchi.

Intendiamoci, scrivo questo pezzo che tutto è ancora in gioco. Ancelotti potrebbe centrare subito un magnifico Triplete come, invece, chiudere con la sola Coppa del Re in tasca. Però la sua stagione non può che considerarsi positivissima già oggi.

Giusto per curiosità mi sono andato a rivedere un po’ l’andamento degli ultimi mister prima di lui alla loro prima stagione alla Casa Blanca. Condivido quindi con voi quanto ne è emerso, giusto per provare a fare una sorta di parallelo con quanto sta riuscendo ad Ancelotti.

Nel 1996/1997 Capello sbarcò a Madrid per aprire un ciclo. Vinse la Liga ed uscì agli ottavi di Coppa del Re. Ciò non bastò però a riconfermarlo: troppo scarno di spettacolo il suo gioco per poter essere gradito alla platea dal Bernabeu.

Il suo posto fu quindi preso da Jupp Heynckes, che portò subito in dote la vittoria della Champions League (e della Supercoppa di Spagna). In campionato però il Real finì quarto, uscendo ancora una volta agli ottavi di Coppa del Re. Nemmeno lui fu confermato.

Il 1998 vide cadere la scelta su quel volpone di Hiddink, che venne però esonerato. Al suo posto finì Toschak, capace di saltare nella prima metà della stagione successiva.

Qui, l’arrivo di Del Bosque. Che nel suo primo pezzo di esperienza trascinò la squadra fino a centrare la Champions. In Spagna però le cose andarono male, con i quarti di coppa ed un misero quinto posto nella Liga.

Un bottino anche peggiore a quello di Heynckes, che gli valse però la conferma. Così alla prima stagione disputata per intero Del Bosque vinse sì la Liga, ma perse le finali di Supercoppa Europea e di Intercontinentale, fermandosi al primo turno di Coppa del Re e venendo eliminato nelle semifinali di Champions.

Per trovare un nuovo esordiente su questa panchina dobbiamo quindi spingerci al 2003, quando il timone passò nelle mani di Queiroz. Il quale vinse la Supercoppa di Spagna. E basta. Battuto in finale di Coppa del Re, fuori ai quarti di Champions, quarto in campionato.

La stagione successiva vide quindi alternarsi tre allenatori: saltati Camacho e Remon la stagione fu condotta in porto da Luxemburgo, a sua volta esonerato dopo quattordici giornate del campionato successivo.

Nel 2006 nuova “prima”, in qualche modo, di Capello. Che a dieci anni di distanza trovò una squadra piuttosto diversa rispetto a quella che lasciò alla fine degli anni novanta. Nonostante questo si confermò campione della Liga, uscendo però agli ottavi sia nella coppa nazionale che in Champions.

Stagione bissata perfettamente da Schuster l’anno successivo, con in più, però, l’aggravante di aver perso la Supercoppa nazionale.

Nella stagione 2008/2009 sbarcò quindi a Madrid, ma solo a partire dalla decima giornata, Juande Ramos: secondo nella Liga, fuori agli ottavi di Champions e ai sedicesimi di Coppa del Re. Esattamente il bottino raggranellato da Pellegrini la stagione successiva.

Nel 2010, quindi, lo sbarco dell’Alieno Mourinho. Che al suo primo anno non fece né bene né male. Evitando però una stagione da zeru tituli solo grazie alla coppa spagnola, con la squadra fermata al secondo posto in campionato ed in semifinale nella massima competizione europea.

E Ancelotti? Come detto dopo aver messo in bacheca la Coppa del Re eccolo arrivare in finale di Champions (risultato che mancava da una dozzina d’anni) e a giocarsi la Liga con Atletico Madrid e Barcellona. Ricordo infatti che il Real si trova al terzo posto a sei punti dai cugini, ma con una partita in più da disputare. Virtualmente, quindi, l’Atletico decide del proprio futuro. Ma l’aggancio in vetta è lontano un solo passo falso compiuto dai Colchoneros…

Insomma, difficile forse che Ancelotti riesca a centrare un Triplete che avrebbe davvero un sapore storico. Però altrettanto vero e concreto che la stagione compiuta dal mister di Reggiolo e dal suo Real è qualcosa comunque di notevolissimo.

Da un punto di vista del gioco, poi, non si può forse dire che il Madrid sia la squadra più spettacolare al mondo. Ma il suo gioco, sicuramente abbastanza essenziale, è comunque un buon mix di difensivismo e fase offensiva. Non un puro e semplice Catenaccio.

Certo, il suo Milan, fatto da grandi palleggiatori, era capace di ben altro. Ma del resto anche quel meccanismo venne assemblato col tempo. E forse chissà, i giocatori oggi a sua disposizione non gli daranno nemmeno mai la possibilità di ricostruire un gioco corale così sopraffino come fu in Rossonero.

Molto più individualista, questo Real ha comunque i tratti somatici della grande squadra. E l’eventuale “Decima” potrebbe suggellarlo, andando ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, a zittire e smentire i soliti “criticoni”…

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