Arkan: dalla pulizia etnica al calcio

Per raccontarvi la storia di come un uomo accusato di genocidio e di atti di pulizia etnica passato alla storia come Arkan seppe portare alla ribalta un club serbo di secondo (per non dire terzo o quarto) piano, spezzando così il dominio di Stella Rossa e Partizan, partirò da molto lontano.Battaglia della Piana dei Merli

Lontano nel tempo – più precisamente dal 28 giugno del 1389 – e nello spazio, la Piana dei Merli (oggi Kosovo Polje): quando e dove la coalizione tra Serbia Moravica e Regno di Bosnia, comandata dal principe e condottiero serbo Lazar Hrebeljanović, si scontrò con l’Impero Ottomano, guidato dal sultano Murad I.

Una battaglia che per noi italiani vuol probabilmente dire poco, ma che segnerà irrimediabilmente la storia dell’intero popolo serbo, che ancora oggi porta con sé le ferite di quella sconfitta.

Lazar ebbe a disposizione soli 25mila uomini (tra serbi, valacchi, bulgari ed albanesi), a fronte dei 50mila al comando di Murad. Una differenza troppo marcata, che decise l’esito dello scontro: quella serba fu una vera e propria ecatombe, in particolar modo dei suoi cavalieri. Oltre a sconfiggerne l’esercito, quindi, gli ottomani in un colpo solo annientarono di fatto buona parte della loro élite politica e militare, mettendo la prima importante pietra di quella che settant’anni più tardi sarebbe diventata la definitiva sottomissione del popolo serbo.

Nonostante la pesantissima sconfitta anche i serbi segnarono però un punto importante: Miloš Obilić riuscì infatti ad uccidere il sultano Murad, consegnando per sempre il proprio nome all’epica ed alla storia.

Ancora oggi, infatti, Miloš Obilić è ricordato dal suo popolo come modello di coraggio ed onore, tanto che la medaglia al valor militare attribuita ai soldati capaci di compiere grandi atti di ardimento sul campo di battaglia porta ancora oggi il suo nome.

Ma perché questo viaggio così a ritroso nel tempo?

Un po’ per spiegare da dove, almeno parzialmente, nasce il forte sentimento nazionale del popolo serbo. Un po’ per inquadrare il nome di quell’FK Obilić capace, alla fine del secolo scorso, di infrangere il duopolio esercitato sul campionato locale dalle mitiche Stella Rossa e Partizan.

Eppure fino a qualche mese prima di vincere il campionato l’Obilić militava nella cadetteria locale, senza apparenti mire o possibilità di crescere sino ad imporsi a livello nazionale.Stella Rossa - Partizan

Tutto cambia nel 1996, quando dopo un breve – ed infruttuoso, per non dire disinteressato – periodo di presidenza dell’FK Priština, tal Željko Ražnatović decide di acquistare l’Obilić.

La liaison tra Ražnatović e l’Obilić sembra più che mai centrata: esattamente come l’eroe medievale, anche il novello presidente del terzo club di Belgrado è visto da molti serbi come un paladino.

Dal passato molto burrascoso (venne arrestato più volte in varie parti d’Europa, tra gli anni settanta ed ottanta), Željko Ražnatović rivestirà un ruolo molto importante nella guerra che scaturirà dalla disgregazione della Jugoslavia: ex ultras della Stella Rossa, comanderà le milizie volontarie passate alla storia come le “Tigri di Arkan”.

Dato che stiamo pur sempre parlando di calcio soprassiederò rispetto ai vari massacri che i libri di storia dicono sarebbero stati compiuti da Ražnatović – in arte Arkan, appunto – ed i suoi uomini. Basti sapere che alle Tigri di Arkan vengono attribuite diverse centinaia di uccisioni, oltre che la partecipazione attiva, al fianco di Ratko Mladić e dei suoi uomini, al genocidio di Srebrenica.

La guerra, una volta terminata, restituirà alla Serbia uno Željko Ražnatović potente, influente, ricco. Un Arkan che da buon ex ultras della Stella Rossa tenterà l’acquisto del club del suo cuore, prima di ripiegare sull’Obilić.

Che, preso in cadetteria scalerà nel giro di brevissimo il calcio locale, sino a vincere il campionato del 1997-1998.

Appena giunto in squadra Arkan cambierà il soprannome dei giocatori del club: Cavalieri, in onore dello stesso Miloš Obilić.

Poi, forte del mezzo miliardo di dollari che pare abbia potuto accumulare grazie a scorribande e gestione del mercato nero, costruisce una corazzata che centra al primo colpo la promozione in massima serie.

A questo punto, anche le grandi di Serbia tremano.Arkan

Arkan è un uomo ricco, potente, rispettato… spietato.

Allo stadio si presenta sempre accompagnato dalla moglie, la folk star Svetlana Veličković, con l’aria di chi dopo aver comandato le sue milizie attraverso alcune delle più grandi atrocità del suo tempo sia pronto a prendersi il proprio spazio anche all’interno del mondo del calcio. E dico prendersi, perché “ritagliarsi” è un verbo che non si addice ad un uomo come Željko Ražnatović.

Scrisse così Christopher Stewart nel suo “Arkan, la tigre dei Balcani”, pubblicato da Alet Edizioni nel 2009:

“Si muoveva nel calcio come in guerra, e gli aneddoti sulla sua gestione divennero numerosissimi. Uno dei più memorabili fu quando un centrocampista avversario si sentì dire che se nel secondo tempo avesse segnato, gli avrebbero spaccato le rotule. Agli allenatori delle squadre avversarie veniva intimato di dare partita vinta all’Obilić, altrimenti…

Segnar loro un goal non era salutare. Prima di ogni partita lo stadio si riempiva di uomini vestiti di nero, come le Tigri. <<Eravamo gente tosta – mi disse un tifoso, campione nazionale di wrestling – Nessuno aveva voglia di fare il fesso con noi>>.

Gli arbitri venivano accolti ai cancelli e ricevevano “suggerimenti” su come dirigere l’incontro. Sugli spalti i tifosi brandivano pistole contro i giocatori e urlavano minacce”.

Devo davvero aggiungere altro per spiegarvi come l’Obilić vinse quel suo primo – e sinora unico – campionato in quasi cento anni di storia?

Arkan impone una sorta di “legge marziale” ai giocatori del suo club, con tanto di punizioni in caso di sconfitta. Sarà forse anche per questo, oltre che per le succitate minacce ad avversari ed arbitri, che nel corso di quel campionato i Cavalieri perderanno una sola gara, imponendosi nella classifica finale grazie alle 27 vittorie ed i contestuali 5 pareggi, 2 punti sopra la Stella Rossa.

Vincere il campionato serbo significa anche qualificarsi alla Champions League. O meglio, al secondo turno preliminare della massima competizione continentale.

Qui, va detto, la fortuna non arride certo ad Arkan ed ai suoi: l’urna accoppia l’Obilić con una corazzata tedesca, che risponde al nome di Bayern Monaco.Obilic

Un impegno proibitivo per la squadra allenata da Dragoslav Šekularac, che infatti cade rovinosamente all’Olympiastadion sotto i colpi dei bavaresi.

La differenza di qualità, del resto, è netta. Due nomi su tutti: Oliver Kahn in porta – uno dei portieri più forti della sua epoca, senza dubbio –, Lothar Matthäus – ormai quasi quarantenne – in difesa. E poi ancora Markus Babbel, Thomas Linke, Thomas Strunz, Stefan Effenberg, Mario Basler, Thorsten Fink, Michael Tarnat, Hasan Salihamidžić e Giovane Élber. Più, dalla panchina, i subentranti Alexander Zickler e Carsten Jancker, oltre al fresco campione del mondo Bixente Lizarazu.

Troppo per i Cavalieri, che dopo essere riusciti a reggere per un’ora di gioco prendono l’imbarcata, una doccia fredda di quattro goal che va a sbollire la calura di quel 12 agosto di ormai diciotto anni or sono.

Se all’interno dei patri confini Arkan ed i suoi riescono quindi ad incutere un certo timore, lontano dalla Serbia arbitri ed avversari non si fanno intimorire da ciò che resta delle Tigri. Che pure al ritorno è plausibile abbiano fatto la loro “bella” figura, se è vero che il Bayern riuscirà a spuntare un solo pareggio, per altro raggiunto in extremis, in quel di Belgrado (1 a 1, reti di Dragan Šarac e Lothar Matthäus).

Nel corso di quella stagione, quindi, l’Obilić non seppe ripetersi, terminando al secondo posto il campionato, a due punti dal Partizan.

Le cose peggiorarono poi ulteriormente l’anno successivo, con i Cavalieri a chiudere il campionato al terzo posto, alle spalle di Stella Rossa e Partizan (squadra quest’ultima che espresse il capocannoniere di quella stagione, un ragazzino che poi fece parlare molto di sé soprattutto in Olanda: Mateja Kežman).

Fu proprio quello l’inizio della fine. Nel corso della terza stagione dell’Obilić nella massima serie serba, infatti, il presidentissimo del club venne a mancare, assassinato alle 17.05 del 15 gennaio 2000 da Dobrosav Gavrić, giovane poliziotto in congedo.

Da lì in poi i risultati del club, a lungo presieduto dalla vedova di Arkan, andarono peggiorando. Una serie di piazzamenti nei pressi della metà della classifica sino alla stagione 2005/2006, che sancì il ritorno in cadetteria. E, di fatto, il crollo totale di un club che si trova oggi a militare nella Third Belgrade League, ovvero lo scalino più basso del sistema calcistico serbo.Arkan

Una fine sicuramente ingloriosa per una squadra che a ridosso del cambio di millennio ha saputo conoscere le luci della ribalta internazionale, riuscendo a tenere a bada per un totale di 150 minuti (su 180, nonostante in quei rimanenti 30 si prese una bambola epocale) uno dei giganti d’Europa, quel Bayern Monaco che perderà poi in maniera assolutamente rocambolesca la finale di Champions League contro il Manchester United.

Una fine sicuramente ingloriosa, soprattutto, per una squadra che porta con sé il retaggio di due tra i più grandi condottieri della storia serba: l’eroe trecentesco Miloš Obilić ed il – per tutto il resto del mondo – criminale di guerra Željko Ražnatović. Un patrimonio spirituale che non si confà ad una squadra di – ormai – dilettanti.


Seguimi su:
Facebook      Twitterblog      Twitterpersonale      G+      Youtube      Instagram

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.