Felice Chinetti: il parà di Solbiate

Il nome di Felice Chinetti dirà pochissimo ai non varesini, mentre dirà molto a chi abita nei dintorni di Varese e provincia.

Il “Felice Chinetti”, lo dico per i primi, è infatti lo stadio di Solbiate Arno. Uno stadio piccolo, raccolto, ma molto grazioso. Uno stadio che ha visto calcio di buon livello per molti anni, quelli in cui la Solbiatese militava nei campionati professionistici della Serie C. E che di tanto in tanto ospita anche qualche amichevole del Milan (la prima volta che ci andai fu proprio per vedere un’amichevole in famiglia dei rossoneri, era l’anno dell’acquisto di Andriy Shevchenko, che però rimase in panca per tutto il match).Stadio Felice Chinetti - Solbiate Arno

Ma chi era, questo Felice Chinetti?

Per scoprirlo dobbiamo ripercorrere a ritroso la storia del nostro Paese, sino ad aprire una delle pagine più buie: quella relativa alla Seconda Guerra Mondiale.

Fu proprio in quell’epoca che l’allora diciottenne Felice Chinetti si arruolò e partì per il fronte. Nato nel 1921, si arruolò come parà nella Folgore, unendosi al reggimento “Nembo”.

Dopo la presa di Roma, nel 1944, gli Alleati risalirono l’Italia, facendo arretrare i tedeschi sino alla loro disfatta.

Due i fronti principali aperti: da una parte, quella orientale, inglesi e polacchi. Dall’altra, quella occidentale, gli americani.

Proprio su questo fronte, tra l’1 ed il 9 luglio di quell’anno, venne combattuta una delle tante battaglie che fecero da snodo cruciale nella Liberazione dell’Italia: la battaglia di Filottrano (comune marchigiano della provincia di Ancona).

Ad affrontarsi il II Corpo Polacco affiancato dal già citato 183° Reggimento Paracadutisti “Nembo” da una parte (con a comando il britannico Harold Alexander, il polacco Władysław Anders e l’italiano Umberto Utili), e la 71° e 278° Infanteriedivision tedesca dall’altra (guidate dai comandanti Frido von Senger und Etterlin, Richard Heidrich, Harry Hoppe e Wilhelm Raapke).

L’attacco Alleato partì il 1 luglio, come reazione alla fucilazione di dieci filottranesi avvenuta il giorno precedente. Un attacco studiato dai generali che volevano giungere ad Ancona, ritenuto uno snodo fondamentale per i rifornimenti.

Dopo circa una settimana di asprissime battaglie le sorti dello scontro furono decise l’8 luglio, quando i reparti della Nembo sferrarono gli attacchi decisivi, guadagnando in serie il convento dei Cappuccini, il Mulino, e San Giobbe, arrivando sino a sfiorare la conquista di Villa Corallini. A questo punto partì quindi il contrattacco tedesco, che respinse indietro le truppe italiane togliendo loro quasi tutti gli obiettivi conquistati sino a quel momento: i cannoni semoventi tedeschi ebbero la meglio sui soldati, che senza un adeguato supporto dei carri Alleati furono costretti a ritirarsi.Felice Chinetti

Proprio allora venne proposto al comando italiano di bombardare la città. Il generale del Nembo, Morigi, si oppose però a questa soluzione, sapendo che così avrebbero sacrificato decine di vite civili.

Il successivo contrattacco Alleato non andò quindi a buon fine, ma la battaglia era comunque vinta: nella notte, coperti dall’oscurità, i battaglioni tedeschi ricevettero l’ordine di smobilitare, lasciando Filottrano. La mattina successiva il tricolore italico sventolò quindi sulla Torre dell’Acquedotto, per segnalare la liberazione della città.

Una liberazione che era però costata cara alle truppe Alleate: oltre ai circa 90 tedeschi rimasti uccisi in otto giorni di combattimenti, infatti, morirono anche 157 soldati polacchi e 135 italiani, tra cui il nostro Felice Chinetti, che perì proprio nel giorno in cui la battaglia venne decisa, l’8 luglio.

A raccontarne la morte un passaggio del libro “La battaglia di Filottrano”, di Giovanni Santarelli:

“Un giorno, credo il 7 luglio, vedemmo sbucare dalla collina che sovrastava la zona, svelti e furtivi, degli uomini armati. Erano paracadutisti italiani e indossavano strane uniformi, con pantaloncini corti e camicia coloniale. Subito mia mamadre e la signora Giulia Belelli offrirono da bere a quei giovani sudati, assetati e stanchi. Ad un tratto uno di loro fece una strana richiesta; voleva il necessario per radersi. Mio padre si offerse di prestargli l’occorrente e salì in casa a prenderlo. Il giovane prese una di quelle casse di legno che i nostri contadini usano durante la vendemmia, la capovolse ed iniziò così il suo lavoro. Io, da un lato, osservavo timidamente. Guardavo lui e ammiravo le lucenti armi appoggiate al muro; sembravano riposare, stanche di tanto fuoco. Procedendo nel suo lavoro, il soldato cantava sommessamente. Ad un tratto gli chiesi: “Perché ti fai la barba?” e lui, senza scomporsi: “Per andare a morire!”. Terminata la rasatura, il giovane partì di corsa e raggiunse i suoi compagni, allontanandosi con loro in ordine sparso in direzione di Filottrano. Venne la sera e la pattuglia fece ritorno. Si seppe così che quattro paracadutisti erano rimasti lassù, falciati dalle raffiche nemiche. Tra questi c’era anche il soldato che io avevo ammirato mentre si radeva. Si chiamava Felice Chinetti”.

Questa la storia della morte del sergente maggiore Felice Chinetti, morto a 23 anni a Filottrano in nome di un ideale oggi forse un po’ desueto, ma sempre molto attuale: la libertà.Caduti battagli di Filottrano

Famiglia Chinetti che allo sport di Solbiate è legata a doppio filo: oltre a dare il nome, proprio tramite il sacrificio di Felice, allo stadio comunale, ha anche dato un centravanti alla Solbiatese (Carlo, fratello del parà morto nei pressi di Ancona) e ha contribuito alla progettazione dello stesso centro sportivo, co-ideato dal nipote di Felice, Giuseppe, nei primi anni ’50.


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