Anatomia di un capolavoro: il gol del secolo

Pensate a cosa debba essere stato presenziare allo stadio Azteca quel 22 giugno del 1986. Pensate a cosa possa aver voluto dire per un calciofilo assistere live, a pochi metri da sé, alla marcatura del gol del secolo.
Essere insomma parte di quella cornice capace di racchiudere la più preziosa delle meraviglie mai dipinta su di un campo da calcio.

Gol del secolo

A riguardarlo sembra semplicemente inevitabile.

Dodici tocchi, tutti fatti dal più magico dei piedi sinistri che Dio abbia saputo creare. Cinquantadue metri di spazio coperti palla al piede, piroettando per liberarsi dalla pressione di due avversari per poi liberare quella corsa così leggiadra, impettita, inarrestabile… verso la storia.

Quarantaquattro passi mossi in poco più di dieci secondi, con un intero paese sulle proprie spalle. E nonostante tutto quella leggerezza propria dei Fenomeni, dei Predestinati.

LA SEDUZIONE DI UN GOL

Il gol del secolo è un’opera d’arte in movimento, che ha per me una storia particolare.
Voglio raccontarvela perché porta con sé tanto del valore che questa segnatura rappresenta, ben oltre la “semplice” vittoria di una semifinale Mondiale.

Da bambino mi appassionai subito moltissimo al calcio. Non so perché né come, dato che la mia era una famiglia prevalentemente di ginnasti… forse era semplicemente il mio destino.

Partite ne guardavo poche o niente, ma non perdevo comunque occasione per vivere la mia passione. Imparai a leggere prima di andare a scuola per potermi fare comprare la Gazzetta dello Sport. Guardavo i notiziari sportivi tutti i giorni dopo pranzo, per vedere qualche immagine dei campioni di allora, che popolavano costantemente le mie fantasie. Giocavo a videogame “primitivi” come Italy 90, basato sul Mondiale italiano, o Sensible Soccer. Non perdevo infine occasione per giocare io: in corridoio con mio fratello (rompendo un po’ di tutto, per la gioia di mamma e nonna!), in cortile coi vicini, in strada davanti a casa di amici, a scuola all’intervallo… ogni momento libero della mia giornata era insomma buono per coltivare questa primordiale passione.

Sensible World of Soccer

Nel farlo ci fu una cosa che più di ogni altra iniziò ad attrarmi magneticamente: il Campionato del Mondo. Che quando avevo cinque anni si era giocato proprio in Italia, ma di cui ricordavo già solo qualche flash, come le giocate di Baggio ed i goal di Totò Schillaci. Un Mondiale che però nei miei primi anni di scuola rivissi miliardi di volte sfogliando e risfogliando una sorta di enciclopedia di quell’edizione che venne regalata a mio fratello, ma che di fatto diventò subito mia per usucapione.

Quindi quando in previsione dei Mondiali del 1994 negli Stati Uniti mi trovai per le mani un cd tutto dedicato alla Coppa del Mondo… capii subito come avrei passato i miei pomeriggi da lì ai mesi a venire.

Quel cd oltre a raccontare un po’ di storia dei Mondiali, a testare la conoscenza di chi lo usava tramite test divertenti e tante altre cose di questo genere aveva anche un interessante – per quanto non sterminato – archivio video, dove era possibile guardare e riguardare alcuni dei goal che avevano fatto la storia di quella competizione.

Dopo quanto vi ho raccontato credo sia inutile dirvi quante volte feci scorrere davanti ai miei occhi quelle immagini, per imprimerle a fuoco nella mia memoria.

Più interessante è invece quello che quel bambino di otto-nove anni fece nel vedere proprio quello che qualche anno più tardi sarebbe stato incoronato come il “gol del secolo”.

Beh, quando schiacciai il “play” fui catapultato come in una sorta di altra dimensione. Una specie di Loggia Bianca, un regno del bene e del bello. Rimasi totalmente rapito dalla magnificenza di quel goal. Dalla capacità di quel giocatore, la cui grandezza non mi era ancora del tutto chiara probabilmente, di liberarsi di un avversario dopo l’altro, in quella corsa aggraziata terminata con il deposito della palla in rete.

Credo di essere rimasto per lungo tempo a bocca aperta, guardando e riguardando quel gol. Tantissime cose ancora mi sfuggivano, ma non potevo sfuggire io al magnetismo che quella segnatura aveva su di me.

Gol del secolo

Insomma, un’azione capace di rapire così un ragazzino innamorato spassionatamente del calcio non poteva certo rimanere un’azione come tante. Era quasi inevitabile, anche per tutto ciò cui è legato quel gol, che gli venisse affibbiato il titolo di gol del secolo.

LA RIVALITA’ SPORTIVA

La rivalità sportiva tra Argentina ed Inghilterra nacque giusto vent’anni prima, nel corso del Mondiale disputato proprio Oltremanica.

Prima di allora le due nazionali si erano già affrontate in alcune occasioni, ma sempre senza che nascesse particolare livore tra le contendenti.

La prima gara in assoluto si disputò a Wembley nel 1951, e venne vinta dai padroni di casa.

La seconda fu invece disputata a Buenos Aires due anni più tardi, ma gli inglesi mandarono in campo una squadra di seconde linee e non la ritengono un match ufficiale (cosa che invece fa la FIFA). Per la cronaca, vinse l’Albiceleste 3 a 1.

Poco più tardi il match venne quindi ripetuto, questa volta con l’Inghilterra al gran completo. Le condizioni avverse del meteo, però, portarono all’interruzione della gara al trentaseiesimo, sullo 0 a 0.

Al Mondiale del 1962, quindi, le squadre si affrontarono per la quarta volta, con gli inglesi che vincendo 3 a 1 condannarono all’eliminazione gli argentini.

Che due anni più tardi si presero una piccola rivincita vincendo il loro primo match riconosciuto ufficialmente da entrambe le parti, con un 1 a 0 inflitto ai Figli di Albione nella Taça de Nações, torneo amichevole disputato in Brasile.

La vera rivalità, come detto, nacque però ai Mondiali del 1966, quando le due nazionali – che agli albori del calcio sudamericano vivevano una sorta di rapporto filiale, se è vero che come un po’ ovunque il calcio in Argentina venne introdotto proprio dagli inglesi – si scontrarono in un match valevole per i quarti di finale.

Era quella un’epoca in cui gli arbitraggi erano fortemente influenzabili da questioni politiche esterne (e forse, di tanto in tanto, è ancora così).

Solo quattro anni prima la nostra nazionale venne malmenata in Cile dai padroni di casa, in una delle gare più assurde della storia.

Una situazione simile per certi aspetti si sviluppò proprio durante quell’Inghilterra – Argentina, partita che i sudamericani ancora oggi definisicono “el robo del siglo”, il furto del secolo.

A scatenare l’ira degli argentini l’espulsione di capitan Antonio Rattín, arrivata ad una decina di minuti dal termine della prima frazione.

Un’espulsione che i sudamericani reputano totalmente ingiustificata, e che in effetti un po’ lascia perplessi.

La stessa pare possa essere arrivata per doppia ammonizione. Difficile capirlo però, non essendoci ancora all’epoca l’uso del cartellino giallo e rosso (fu proprio quella partita a scatenarne l’ideazione).

In un primo momento pare che l’arbitro dell’incontro, il tedesco Rudolf Kreitlein, ammonisca Rattín al termine di un’azione in cui viene saltato secco da Bobby Charlton, che poi fugge e calcia di sinistro da fuori, senza grande efficacia.

Le immagini sono quelle che sono e credo la prima ammonizione arrivi lì. Probabile che Kreitlein veda un fallo di Antonio Rattín nel momento in cui viene saltato, perché subito dopo lo si vede annotare qualcosa sul suo taccuino.

Pochi minuti ed ecco l’espulsione, che è però impossibile raccontare dopo aver visto le immagini. Mentre la palla va sulla sinistra della difesa argentina, raccolta dal terzino Marzolini, il telecronista inglese parla in maniera concitata, annunciando l’espulsione di Antonio Rattín.

Pare che possa aver protestato per qualcosa (probabilmente il fatto fischiato poco prima, al limite dell’area, a Roberto Perfumo) e che Kreitlein, pur non capendo cosa gli stesse venendo detto (i due non parlavano le rispettive lingue, né pare avessero conoscenza dell’inglese), abbia deciso di punire così il capitano dell’Albiceleste.

Ne nasce un parapiglia non indifferente, con i giocatori dell’Argentina che prima circondano l’arbitro tedesco e poi escono dal campo, per cercare conforto nella propria panchina. Il tutto con Antonio Rattín che, di contro, si rifiuta di abbandonare il campo.

Le proteste durano diversi minuti, ma alla fine il capitano deve rassegnarsi ed abbandonare il campo.

Così l’Inghilterra potrà giocare i rimanenti cinquantacinque minuti più recuperi con l’uomo in più, riuscendo verso fine gara ad avere la meglio della strenua resistenza sudamericana quando Geoff Hurst verrà dimenticato tutto solo al limite dell’area piccola e girerà in porta un cross proveniente da sinistra, garantendo alla sua squadra l’accesso alla semifinale.

Da una gara del genere, è logico pensarlo, non poteva quindi che nascere una grande rivalità sportiva, tra le più sentite tanto in Inghilterra quanto – soprattutto – in Argentina: ad oggi, infatti, l’Albiceleste ha vinto tre sole volte su quindici contro i Three Lions!

Inevitabile quindi che anche il ricordo del “robo del siglo”, con tanto di espulsione apparentemente ingiustificata di Antonio Rattín, finisse per pesare e surriscaldare l’ambiente in cui venne giocata la semifinale del 1986.

LE MALVINAS

Malvinas

A caricare di maggior tensione ed aspettativa – soprattutto da parte argentina – la semifinale di Messico 86 fu però la guerra che si combattè quattro anni prima nelle Falkland (in spagnolo Malvinas), un piccolo arcipelago situato nell’Atlantico meridionale.

La storia delle Malvine è complessa e frastagliata.

Colonnizzata in tempi antichi dai patagoni, divenne dominio francese nel 1763 con l’arrivo di Louis Antoine de Bougainville e dei suoi malouins.

Tre anni ed ecco il passaggio al Regno di Spagna, come risarcimento per l’aiuto offerto nella guerra dei sette anni.

Le cose cambiarono all’inizio del nuovo secolo, con l’indipendenza argentina che portò alla rivendicazione di quei territori come di tutti i territori spagnoli in quel lembo di mondo.

Nel 1820, così, il governo di Buenos Aires inviò una nave militare per prendere effettivo possedimento delle Malvine.

Il dominio argentino non durò però molto, perché già nel 1833, per la quarta volta nella sua breve storia “moderna”, i britannici sbarcarono sull’isola, cacciarono la guarnigione militare che la gestiva e dichiararono la propria sovranità su tutto l’arcipelago.

Un evento storico che influenzò anche l’andamento della Prima Guerra Mondiale, se è vero che proprio qui una flotta di incrociatori tedeschi battagliò con i britannici per tentare di passare dal Pacifico all’Atlantico, venendo però sconfitti dal viceammiraglio Sir Frederik D. Sturdee. Chissà come sarebbero andate le cose se le Falkland fossero state ancora in mani argentine!

La Guerra delle Falkland, che fece da detonatore definitivo della rivalità tra i due paesi, scoppiò quindi nel 1982. Quando le truppe militari argentine spinte dal generale Leopoldo Galtieri – all’epoca capo del governo, essendo il paese in mano ad una dittatura militare – occuparono l’arcipelago.

Generale Leopoldo Galtieri
Generale Leopoldo Galtieri

Il paese era del resto in una profonda crisi economica e politica (Galtieri fu il terzo militare avvicendatosi alla guida della junta nell’arco di pochi mesi) e si pensò che per allentare le tensioni interne si sarebbe potuta giocare la carta del nazionalismo, con la rivendicazione di un territorio che da sempre l’Argentina sente come suo.

L’Operazione Rosario scattò così il 2 aprile del 1982. L’operazione durò solo poche ore, tanto che già alle 8.30 del mattino il governatore Rex Hunt ed il maggiore Mike Norman firmarono la resa.

L’opinione pubblica internazionale si divise da subito, tra chi pensava il Regno Unito avesse subito un attacco da parte di una dittatura militare e chi li vedeva semplicemente intenti a perpetrare il mantenimento di una colonia sottraendola così al potere locale.

In Inghilterra e dintorni, invece, il popolo era molto più compatto a favore dell’interventismo.

L’ONU intervenne quindi immediatamente, e già il giorno dopo approvò la risoluzione 502 con cui chiese agli argentini il ritiro delle truppe e la cessazione delle ostilità.

Una settimana più tardi la CEE intervenne a sua volta, comminando delle sanzioni economiche all’Argentina (non aderirono a questa risoluzione l’Italia, visto l’alto numero di emigrati in quel paese, e l’Irlanda, dove il sentimento anti-britannico era molto forte).

Niente di tutto questo però servì a far recedere il generale Galtieri dal suo intendimento.

Il Regno Unito mise quindi assieme una task force e lanciò l’Operazione Corporate, per riconquistare i territori strappati al loro dominio dalla junta argentina.

Le battaglie (non mi dilungo sulle varie battaglie che vi vennero combattute, se volete approfondire vi consiglio di leggere libri come “Le isole del purgatorio. Il conflitto delle Falkland-Malvinas: una storia argentina” di Fabio Gallina o “Il conflitto delle Falkland/Malvinas: un’analisi sistemica” di Roberto Sala) durarono fino al 14 giugno di quell’anno e si conclusero con l’assalto finale a Port Stanley.

Newsweek - The Empire strikes back
Copertina di Newsweek dell’aprile del 1982: “L’impero colpisce ancora”, come da titolo del seguito di “Guerre stellari”

Nei settantaquattro giorni di guerra morirono 649 argentini (tra cui 16 civili) e 258 britannici (tra cui 9 civili, compresi 3 abitanti delle Falkland).

Dopo quella guerra Argentina ed Inghilterra non incrociarono più i tacchetti su di un campo di calcio. Fino a quel fatidico 22 giugno del 1986, quando Diego Armando Maradona regalò il riscatto ad un popolo intero eliminando gli inglesi segnando prima con la famosa Mano de Dios, poi l’ancor più famoso gol del secolo…

BARRILETE COSMICO

Al gol del secolo è abbinata anche la radiocronaca del secolo, potremmo dire.

Del resto come lo stesso Victor Hugo Morales dice, è quanto accade in campo a rendere dimenticato o indimenticabile il lavoro di un cronista.

Così ad una meraviglia se ne aggiunse un’altra.

Perché quel 22 giugno del 1986 all’Azteca c’era anche questo radiocronista uruguayo che da un quinquennio lavorava in Argentina. Una voce oggi certamente storica del calcio sudamericano, anche e soprattutto per come seppe raccontare in diretta quel gol:

Gol del secolo

Ancora oggi quando riguardo il gol del secolo mi emoziono. Ancor di più se il video è accompagnato proprio dal relato di Morales.

Pelle d’oca sempre, spesso anche qualche lacrima. Perché quel bambino di otto-nove anni che rimase incantato nel vedere per la prima volta questa azione è ancora vivo dentro di me, ed ogni tanto prende il sopravvento…

Proprio ascoltando e riascoltando più volte la commovente radiocronaca del giornalista di Cardona c’è sempre stato un passaggio che mi ha colpito in maniera particolare. Quello in cui Morales pronuncia “barrilete cósmico”, per descrivere lo stesso Maradona.

Così, incuriosito, nel corso del tempo ho cercato di approfondire la cosa, provare a comprenderne al meglio il significato. Che, letteralmente, significa “aquilone cosmico”.

E fino a qui tutto bene. Perché si potrebbe facilmente capire come un creativo a là Morales abbia potuto usare questa allegoria per descrivere il miglior calciatore della storia. Un paragone tracciato con un aquilone capace di volare addirittura fino oltre all’atmosfera, così come Diego era capace di superare, col suo talento, ogni limite. Anche quello tracciato dal cielo.

C’è però un motivo molto più fine per cui quel giorno Victor Hugo Morales decise di descrivere Diego Armando Maradona come un “barrilete cósmico”.

Per spiegarvelo, permettetemi di introdurvi a quella che era la situazione del pre-Mondiale messicano. Con il C.T. Carlos Bilardo e l’ex C.T. César Luis Menotti in aperta faida.

Quest’ultimo aveva infatti guidato l’Albiceleste per quasi un decennio, dal 1974 al 1982. Fu lui, quindi, a guidare l’Argentina sul tetto del mondo per la prima volta, vincendo il Mondiale di casa a quattro anni dal suo approdo in Nazionale. Un’esperienza che era quindi perdurata sino al Mondiale spagnolo, quello in cui l’Argentina venne eliminata nel corso della seconda fase per mano di Brasile ed Italia.

Vissuta quell’eliminazione come un fallimento la Federazione aveva quindi optato per una svolta, affidando la squadra proprio a Bilardo.

Menotti e Bilardo
Menotti e Bilardo

La cosa possiamo immaginare tutti non possa essere stata vissuta con troppa felicità da Menotti, che dopo aver portato per la prima volta la sua nazione sul tetto del mondo era stato eliminato nel secondo caso da quella che viene spesso definitiva come la miglior nazionale brasiliana di sempre oltre che da un’Italia che proprio da quel secondo turno in poi diventò una squadra praticamente inarrestabile, in missione per conto di Dio.

Insomma, è plausibile che Menotti pensasse di meritare altro tempo su quella panchina e che questo ne abbia influenzato il suo comportamento da lì agli anni successivi. In cui le polemiche non mancarono.

In queste finì anche lo stesso Maradona, forse reo di non averlo portato, pur affiancato da alcuni degli eroi del ’78 come Passarella e Kempes, a vincere anche il mondiale dell’82.

Inutile dilungarsi troppo, ma la disistima di Menotti nei confronti di Diego parve evidente proprio con l’avvicinarsi della rassegna iridata messicana, quando l’ex C.T. lo definì – appunto – un aquilone che volava qui e là in maniera discontinua. Insomma, un giocatore tecnicamente stagnante da un paio d’anni, incapace di essere un leader in grado di caricarsi una squadra sulle spalle per poterla condurre alla vittoria.

Una definizione che a moltissimi cronisti argentini non andò giù, se è vero che nelle settimane successive fu ripresa spesso.

In particolar modo da Crónica, che dopo l’esordio vittorioso contro la Corea scrisse “Maradona, un aquilone che vola alto”, per poi ripetersi due settimane più tardi quando superato l’Uruguay scrisse “Siamo tra le migliori otto, e l’aquilone della nostra illusione vola sempre più in alto”.

Definizione che appunto deve aver colpito molto anche Victor Hugo Morales, che di Maradona era un estimatore.

Così deve probabilmente essergli uscito di getto quel “barrilete cósmico” con cui apostrofò Diego dopo il gol del secolo. Una descrizione splendida per un genio del calcio che mai come quella volta, davvero, seppe superare anche il cielo, volando lassù dove la meraviglia diventa elemento costituzionale.

Morales e Maradona
Morales e Maradona

IL GOL DEL SECOLO

L’azione da cui scaturisce il gol del secolo nasce come un’azione tra tante, con una palla intercettata in zona difensiva da Cuciuffo (difensore laterale di destra della linea a tre approntata da Bilardo).

Cuciuffo intercetta il pallone
Cuciuffo intercetta il pallone

Ogni singola scelta che viene presa in quella manciata di secondi contribuisce alla realizzazione del gol del secolo. Così il difensore del Vélez poteva decidere se lanciare per un riattacco alla linea immediato o giocare palla corta, per tentare di costruire la manovra.
La scelta cade su questa seconda opzione, con appoggio comodo a Héctor Enrique, sulla mezz’ala destra.

Enrique riceve la sfera da Cuciuffo
Enrique riceve la sfera da Cuciuffo

Anche qui, ancor più che con Cuciuffo, la scelta di gioco determina la storia del gol del secolo.

Enrique è aggredito immediatamente da Beardsley, che più che tentare la riconquista immediata della sfera sembra voglia togliere un tempo di gioco all’avversario. Il quale, dal canto suo, potrebbe decidere per il passaggio orizzontale su Burruchaga o per il disimpegno a mettere palla in sicurezza restituendola alla difesa. Invece la tiene e si libera del proprio diretto marcatore.

A questo punto davanti a sé ha due uomini: Diego Armando Maradona, che pur seconda punta gioca praticamente a tutto campo per cucire gioco ed inventare, e lo stesso Jorge Burruchaga, che parte ad attaccare verticalmente la profondità.

Enrique passa a Maradona
Enrique passa a Maradona

Lui, senza saperlo, prende la scelta che dà il la al gol del secolo: serve Diego.

Quello che ne segue sono i più bei dieci secondi abbondanti della storia del calcio.

Maradona stoppa di sinistro, subendo il rientro dello stesso Beardsley. Che questa volta affonda in maniera più decisa un tentativo di contrasto, eluso però facilmente dal 10 argentino.

Maradona elude il tackle di Beardsley
Maradona elude il tackle di Beardsley

Ne segue una piroetta atta a liberarsi anche della pressione di Peter Reid, a sua volta pronto a rinculare per tamponare la ripartenza argentina.

Nello spazio di una manciata di metri quadrati Maradona tocca il pallone tre volte, tutte di mancino, girando su sé stesso e lanciandosi in velocità palla al piede dopo aver eluso l’intervento di due avversari in un fazzoletto.

Maradona piroetta ed elude anche l'intervento di Reid
Maradona piroetta ed elude anche l’intervento di Reid

In quel Mondiale el Diez sembra è in forma – soprattutto fisica – sfavillante. Così parte in progressione impendendo allo stesso Reid, che comunque lo tampina da vicino, di rientrare per provare a fermarlo.

Arrivato ad altezza trequarti si trova davanti Butcher, che viene saltato con un dribbling a rientrare facile facile, un tocco leggiadro che manda fuori giri il centrale di sinistra inglese.

Maradona supera Butcher
Maradona supera Butcher

A questo punto l’area avversaria si avvicina. Tra Maradona e la linea resta solo Terry Fenwick, che inverte il movimento (fino a quel momento la linea difensiva, escluso Butcher, stava scappando verso la porta dato che Maradona avanzava di gran carriera a palla scoperta) e si para davanti a Diego.

Questo movimento è interessante perché determina un’altra scelta argentina, questa volta dello stesso numero 10, che porta al gol del secolo: con la difesa che va spaccandosi in due Maradona avrebbe l’appoggio comodo sulla sua sinistra per Burruchaga (che avrebbe a sua volta potuto giocare ancor più a sinistra per Valdano, che a quel punto si sarebbe trovato a tu per tu con Shilton), che partito ad inizio azione dalla sua stessa zona di campo lo scorta fino in area. El Diez, però, decide che nessuno lo avrebbe potuto fermare. Non in quell’azione, almeno. E con un tocco rapido d’interno fa secco anche il centrale di destra inglese, ed entra in area.

Maradona supera Fenwick ed entra in area
Maradona supera Fenwick ed entra in area

Il gol del secolo a questo punto (quindi con quattro avversari già saltati) sarebbe ancora evitabile.

Troppo tardi per sperare in un intervento in diagonale del terzino destro Stevens, che pur avendo seguito bene l’azione non avrebbe potuto portare una chiusura tempestiva. Non per sperare in un’uscita efficace di Peter Shilton.

Il destino deve però compiersi. Il gol del secolo deve essere segnato.

Maradona sdraia Shilton
Maradona sdraia Shilton

Così Maradona usa ancora una volta l’interno per toccare il pallone e sdraiare Shilton, terminando la propria corsa oltre l’estremo difensore inglese proprio quando Butcher, rinvenuto da dietro, tenterà un ultimo disperato afflato per fermare l’azione. La scivolata del centrale inglese arriverà però con quella frazione di secondo di ritardo di troppo, giusto appena dopo che el Diez aveva toccato palla per l’ultima volta, sospingendola in rete

Nonostante l'intervento disperato di Butcher, Maradona deposita in rete il gol del secolo
Nonostante l’intervento disperato di Butcher, Maradona deposita in rete il gol del secolo

E’ così, in questi pochi passi, che Diego Armando Maradona seppe tratteggiare con colori vividi e ad imperitura memoria di chiunque si troverà ad osservare quella sua marcatura quello che, direi inevitabilmente, nel 2002 venne votato come il gol del secolo.

LE VOCI DEI PROTAGONISTI

Peter Reid, centrocampista saltato da Maradona ad inizio azione:

Andai in pressing su di lui, ma fece quella giravolta su sé stesso che gli permise di guadagnare un metro. Fece un passo sulla palla e si voltò. Fece un movimento con un equilibrio e di una classe impressionante. Fu veloce. Troppo, per me. Non ero un velocista e in più giocavo con un problema alla caviglia che mi causava dolore.

Terry Butcher, primo difensore saltato, sulla trequarti:

Fui molto arrabbiato per quel secondo goal, per il modo in cui mi battè. Battè tutti i giocatori inglesi una sola volta, ma diede l’impressione di battermi due volte.

Terry Fenwick, secondo difensore inglese saltato, al limite dell’area:

Nel primo tempo mi ammonirono. Dovevo stare attento, rischiavo l’espulsione. In altre circostanze l’avrei sicuramente abbattuto. Ho dovuto prendere una decisione in meno di un secondo. Proprio in quella frazione di secondo di dubbio mi saltò, entrò in area e segnò.

Peter Shilton, portiere nonché ultimo giocatore saltato da Maradona:

Maradona portava palla e Butcher gli era sul collo. Pensavo che avrebbe giocato la palla, come avrebbe fatto il 99% dei giocatori in quella situazione, ma così non fu. Mi gettai in uscita bassa, ma con una frazione di secondo di ritardo. Andai vicino a toccare il pallone, ma senza riuscirci. Segnò. E lo stadio esplose.

Gol del secolo
Maradona disegna a Papa Francesco I il gol del secolo

Victor Hugo Morales, radiocronista:

Ho esagerato e perso il controllo. E’ stato un raptus: non sono riuscito a mantenere il necessario distacco. Per questo mi sono scusato più volte.
La miglior telecronaca della mia carriera è un’altra: il gol di Diego alla Grecia a Usa ’94. Ho citato tutti i giocatori che avevano toccato palla, tracciando l’intera azione. Stilisticamente e narrativamente sono stato molto vicino alla perfezione.


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