Jeremy Menez: un giocatore da “non-sistema”

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Chi segue il calcio con un’attenzione minima che va oltre il semplice “straparlo di calcio al bar e do un occhio alle partite della mia presunta squadra del cuore quando capita” avrà sicuramente sentito parlare più volte dei cosiddetti “giocatori di sistema”. Ovvero quei calciatori capaci di rendere anche oltre il 100% del proprio valore in determinati contesti, ma totalmente incapaci di ripetersi altrove, come pesci fuor d’acqua.

La storia del calcio stesso ci pone davanti ad un numero infinito di casi. Tra tutti ricorderete senz’altro buona parte dei giocatori del Valencia di Cuper. Gente che, come Mendieta, sembrava assolutamente inarrestabile in quel contesto. Ma poi, anche strapagata, non ha saputo nemmeno lontanamente ripetersi altrove.

Del resto è facilmente capibile questo meccanismo: quando si è ben integrati in un contesto tattico è logico che il proprio rendimento sia portato a migliorare. Cambiare contesto può quindi spesso interrompere la magia.

Definiti i contorni di quello che intendo per “giocatore di sistema”, vorrei focalizzare oggi l’attenzione sul milanista Jeremy Menez, sicuramente tra i giocatori più positivi della compagine rossonera quest’anno.

Arrivato certo non in pompa magna in estate, a parametro zero, sarebbe stato poco più di una riserva nei tanti Milan del passato (da quello del trio Gre-No-Li sino alla più recente versione ancelottiana).

La pochezza tecnica attuale dei Rossoneri, però, lo ha fatto diventare da subito giocatore assolutamente imprescindibile nel “non-contesto” tattico di Inzaghi.
Del resto nessun altro, in rosa, ha i suoi colpi. Nessuno come lui, insomma, può decidere i match con una giocata.

Fino a qui tutto bene. Ma certo, per stare nel Milan di oggi significa anche che a queste qualità sicuramente positive Menez deve affiancare degli aspetti totalmente negativi.

Tra questi, da sempre, una atavica incostanza di rendimento, in realtà in qualche modo mascherata – almeno – dal buon numero di goal realizzato sin qui quest’anno.
Ma non solo. I difetti del suo gioco sono svariati. Tra tutti sicuramente la sua vena “veneziana”: solista assoluto, predilige lo spunto in totale solitudine al cercare la manovra di squadra.

Certo, mi si potrà ribattere: in un contesto tecnicamente povero come quella milanista non può fare altrimenti.

Vero, i compagni non lo invogliano sicuramente a modificare il suo gioco. E’ altrettanto vero, però, che chi lo conosce da prima del suo sbarco a Milano sa bene che il tratto fondante del suo gioco è sempre stata una certa anarchia. Insomma, se cerchi un giocatore abile a dialogare coi compagni di certo non puoi andare a rivolgerti a lui.

In tutto ciò, però, Jeremy Menez è finito col trovare l’ambiente ideale per esprimersi proprio sulla sponda Rossonera di Milano.

Qui, infatti, ha trovato una squadra totalmente disorganizzata, con un allenatore neofita ad oggi assolutamente incapace di dare un gioco alla proprio equipe e dei compagni che, di fatto, si sono spesso aggrappati alle sue giocate individuali per provare a sfangarla.

Insomma, in un contesto totalmente destrutturato come quello rappresentato dal Milan di oggi Jeremy Menez, anarchico del rettangolo verde e solista della giocata, trova la sua massima esaltazione.

Se in una situazione organizzata i suoi acuti finirebbero col suonare stonati, infatti, nella sconclusionatezza milanista le sue prove risultano invece dei reali toccasana.

Insomma, preso sulla carta per essere inserito in una certa idea di gioco, Jeremy Menez si è rivelato essere il miglior paracadute di questo Milan proprio grazie la totale assenza di idee di gioco comuni.

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