Mondiali, la FIFA ha scelto: 2018 in Russia, 2022 in Qatar

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Russia e Qatar.

Ecco quali saranno le nazioni che dovranno ospitare il Mondiale dopo l’edizione che si svolgerà nella terra del calcio per eccellenza, il Brasile, tra quattro anni.

Fa sicuramente un po’ strano pensarci, dato che mancano ancora così tanti anni, ma da ieri sappiamo quali paesi faranno da sede all’edizione 2018 e 2022 della massima rassegna calcistica del globo.

Un’assegnazione, quella decisa dal comitato preposto in seno all’organizzazione mondiale presieduta dallo svizzero Blatter, che sta facendo discutere moltissimo anche nel nostro paese in queste ore ma che è molto discussa già da mesi.
Qualche tempo fa, infatti, scoppiò uno scandalo internazionale che coinvolse due dei ventiquattro membri dell’esecutivo, il nigeriano Amos Adamu (Presidente dell’Unione Calcistica dell’Africa Occidentale) e Reynald Temarii (Presidente della Confederazione dell’Oceania) i quali caddero in una sorta di trappola tesa loro da alcuni giornalisti del Sunday Times che fingendosi parte del comitato organizzatore statunitense offrirono loro dei soldi per strappare un sostegno alla candidatura del paese a stelle e strisce.

Avendo entrambi accettato l’offerta, di fatto vendendo il proprio voto, sono stati quindi sospesi dalla commissione etica della federcalcio mondiale, che gli ha inflitto rispettivamente 36 e 12 mesi di sospensione, estromettendoli dalla votazione in questione.

La cosa ha ovviamente minato la credibilità della Fifa tutta, coinvolgendo anche altri quattro ufficiali della federazione (Slim Alolou, membro della commissione calciatori, Ahongalo Fusimalohi, segretario generale della federazione di Tonga, Amadou Diakitè, membro della commissione arbitri, ed Ismael Bhamjee, membro onorario della confederazione africana) e creando un clima non proprio idilliaco che si è protratto anche oltre la votazione stessa.
Con delle premesse del genere, infatti, era ovvio che ci sarebbero state delle recriminazioni che si sarebbero potute tramutare in accuse più o meno velate a brogli e compravendite illegali di voti.

Il fatto che a vincere siano state due delle nazioni economicamente meglio fornite, poi, ha ovviamente insospettito ancora di più.

Non essendoci prove, ad oggi, che la votazione sia stata pilotata e che i membri dell’esecutivo si siano fatti corrompere, però, non possiamo che prendere per buone le assegnazioni a Russia e Qatar, che presentavano comunque due candidature di tutto rispetto.

Un’assegnazione, questa, che deve per altro far riflettere un po’ anche in relazione alla bocciatura che il nostro paese subì nel presentare la propria candidatura per l’organizzazione dell’Europeo del 2012, poi finito a Polonia ed Ucraina.
Quest’assegnazione è infatti il chiaro segno dei tempi. Ci sono popoli, come quello mediorientale e, appunto, quello dell’est Europa, che hanno fortemente voglia di grande calcio. Un sentimento, questo, che i massimi vertici del calcio mondiale ed europeo non vogliono certo ignorare.

2018 – Russia

Inghilterra, Olanda-Belgio e Spagna-Portogallo.
Queste le candidature che si opponevano a quella russa in merito all’assegnazione dei Mondiali del 2018.

Quattro candidature europee per assicurare, dopo l’edizione tedesca del 2006, un altro Mondiale al Vecchio Continente, il secondo nel giro di quattro edizioni.

A spuntarla, però, è stata la più asiatica tra le contendenti, segno anche di come alle grandi – quanto classiche – potenze del calcio europeo sia stata preferita l’opzione più nuova, fresca e alternativa.

Perché ormai è da un po’ di tempo che lo si è capito: il calcio è sempre più un affare capace di muovere montagne di denaro, non è più solo un gioco in grado di far vibrare qualche milione di tifosi sparsi in determinate zone del mondo.
Negli ultimi vent’anni, infatti, questo sport è cresciuto moltissimo in termini di interesse globale. Blatter, ma la Fifa tutta, l’ha capito e ha pensato bene di cavalcare l’onda, per mettere il calcio in una posizione sempre più egemone rispetto agli altri sport.

Proprio in questo senso potè essere letta l’assegnazione del Mondiale del 1994, ormai così lontano e sbiadito nella memoria, agli Stati Uniti.
Patria di football, basket, hockey e baseball, infatti, gli States rappresentavano un paese in cui il movimento calcistico era notevolmente regredito dopo il crack della NASL e che necessitava di una forte spinta propulsoria per poter tornare a presentare una lega professionistica di buon livello, capace di far innamorare gli americani anche del calcio.
Perché, del resto, gli Stati Uniti rappresentavano anche un mercato ampissimo che andava conquistato.

Detto-fatto. Il Mondiale andò bene nonostante fuso orario, stadi non specifici e condizioni climatiche spesso non certamente ideali. E il calcio americano riprese vita, con MLS e nazionale che pur non rivestendo ancora l’importanza che nella vita di ciascun americano può avere il Superbowl o il Dream Team hanno visto accrescere il proprio appeal nei confronti del pubblico americano, sempre più attento anche alle vicende del pallone a spicchi.

Nel 2002, quindi, fu la volta di Giappone e Sud Corea, che fecero da traino un po’ per l’Asia tutta. Nel 2010, poi, ecco il primo Mondiale africano, importantissimo soprattutto a livello simbolico. Nel 2018, quindi, l’abbattimento di un altro muro: per la prima volta nella sua quasi centennale storia, infatti, la massima competizione calcistica del globo sarà giocata in Russia, laddove un tempo, quando un altro muro spaccava a metà il Vecchio Continente, sarebbe stato impensabile organizzare un Mondiale.

Una candidatura, quella russa, molto forte.
Rispetto all’epoca del regime comunista e della Guerra Fredda, infatti, molte cose sono cambiate sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico.

A fare da propulsore a questa candidatura sono stati i vari oligarchi che, nel contempo, avranno sicuramente anche rappresentato, agli occhi dell’esecutivo Fifa, una garanzia rispetto agli investimenti promessi in vista del Mondiale.

Perché organizzare una manifestazione del genere, è ovvio, comporta esborsi notevoli.

Ci sono stadi da costruire, infrastrutture da adeguare ad un evento di tale portata, sicurezza da garantire, ecc.
Tutte cose rispetto le quali, appunto, va compiuto uno sforzo economico.

Proprio in questo senso, quindi, la candidatura di due paesi come Portogallo e Spagna sembrava essere sconfitta in partenza.

In realtà le cose non sono andate propriamente così. Nel primo turno di votazioni, infatti, la candidatura congiunta dei due paesi iberici, che versando in gravissima crisi economica non davano certo la stessa apparenza di solidità che poteva dare una Russia o un’Inghilterra, ha ricevuto ben 7 voti, contro i 9 della Russia, i 4 dell’accoppiata Olanda-Belgio ed i 2 dell’Inghilterra. Che da grande favorita al pari dei russi stessi risulterà quindi essere la prima esclusa dalla corsa al Mondiale 2018.

E qui va aperta una parentesi: la candidatura inglese era indubbiamente la più affascinante, da un punto di vista prettamente calcistico.
Perché se è vero che la Russia poteva appunto giocarsela grazie alle garanzie derivate dalle proprie oligarchie ed all’esoticità, in fondo, della propria proposta gli inglesi andavano ad opporre la propria storia di inventori e maestri del calcio, come sono soliti autodefinirsi.
Non solo: in assoluto è proprio l’Inghilterra, assieme alla Germania, a godere della miglior fama per quanto concerne lo stato dei propri stadi. Wembley, Old Trafford, Anfield… stadi belli e famosi come pochi altri al mondo.

Questo, però, non ha impedito all’esecutivo Fifa di snobbare brutalmente la candidatura inglese, che oltre al danno di non vedersi assegnato il Mondiale 2018 subisce quindi pure la beffa di aver ricevuto due sole preferenze, venendo subito eliminata dalla corsa.

Perché, è bene ricordarlo, per ottenere l’assegnazione del Mondiale era necessario che almeno 12 dei 22 membri del comitato esecutivo votassero a favore di un dato paese e che nel momento in cui una votazione non avesse ottenuto un esito di questo tipo si sarebbe provveduto ad eliminare la candidatura che avesse ricevuto meno voti effettuando poi una nuova votazione.

La cosa è avvenuta anche nel caso del Mondiale 2018. Dopo l’eliminazione inglese, quindi, si è provveduto ad una seconda votazione, subito decisiva. Qui, infatti, raccogliendo 13 voti (contro i soli 7 degli iberici ed i 2 della coppia Olanda-Belgio) i russi hanno sbaragliato la concorrenza, vedendosi assegnare l’organizzazione della competizione mondiale che seguirà quella che si svolgerà tra quattro anni in Brasile.

Grandissima gioia in tutto il paese ed altrettanta soddisfazione all’interno del comitato organizzatore russo presieduto da Vitaly Mutko, Ministro dello Sport, del Turismo e delle Politiche Giovanili della Federazione Russa che con tutto il suo staff (il CEO Alexey Sorokin, il Direttore delle Operazioni Alexander Djordjadze, la Direttrice delle Relazioni Internazionali Ekaterina Fedyshina, la Communication Manager Julia Cooper, il direttore dell’Area Sport Alexey Smertin ed il Direttore del libro illustrante la candidatura Dmitry Mosin) ha approntato il progetto risultato vincente.

Tredici saranno quindi le città interessate, sedici gli stadi.
Mosca, infatti, parteciperà allo svolgimento del Mondiale mettendo a disposizione ben quattro arene ove giocare: il Luzhniki Stadium, la cui capienza sarà aumentata sino a poter ospitare più di 89mila spettatori, lo Spartak Stadium, il Dynamo Stadium ed il Moscow Region Stadium. E qui vanno subito aperte un paio di parentesi: innanzitutto lo Spartak Stadium, che avrà una capacità di quasi 47mila posti, attualmente non esiste. La sua costruzione, infatti, doveva teoricamente partire nel 2007 ma ad oggi non è ancora iniziata. L’assegnazione del Mondiale alla Russia, quindi, darà l’impulso definitivo all’avvio dei lavori. Allo stesso modo anche il Moscow Region non esiste. Esso, però, non verrà costruito in città, quanto subito al di fuori di essa.

Oltre alla capitale, come detto, altre dodici città – ed altrettanti stadi – ospiteranno quest’attesissimo evento: San Pietroburgo metterà a disposizione la sua Gazprom Arena, a Kazan si giocherà invece nel Rubin Stadium mentre dovranno essere costruiti da zero gli stadi di Kaliningrad, Nizhny Novgorod, Yaroslavl, Samara, Volgograd, Saransk, Krasnodar, Rostov, e Yekaterinburg.
A Sochi, infine, si giocherà all’interno del Sochi Olympic Stadium, stadio che sarà terminato entro un paio d’anni e che farà da sede per i Giochi Olimpici del 2014, anch’essi assegnati alla Russia che nel giro di pochi anni sarà quindi impegnata nell’organizzazione di due dei massimi eventi sportivi mondiali.

Tanti stadi nuovi, quindi, che daranno un volto sicuramente molto moderno al Mondiale del 2018. E se la forza della candidatura inglese, come detto, stava proprio negli stadi ecco che la delegazione russa si è opposta ad essi con quest’ambizioso progetto.

A far storcere il naso a molti, comunque, non è solo una questione di blasone calcistico della nazione ospitante, che nel caso della Russia non è certo al livello di paesi come Inghilterra, Spagna o Olanda, quanto più il fatto che le città scelte si trovano anche molto lontane tra loro e che gli spostamenti potranno quindi causare dei problemi agli atleti che saranno impegnati nel corso del Mondiale.
Un problema, questo, sicuramente esistente, ma che nel corso dei prossimi otto anni verrà affrontato dalla delegazione russa e cui avranno indubbiamente pensato anche i famosi oligarchi di cui sopra. Che oltre ad investire soldi nella costruzione di stadi, quindi, ne dovranno sicuramente anche investire per migliorare i trasporti aerei del proprio paese.

2022 – Qatar

Ancor più esotica, probabilmente la più esotica in assoluto, la scelta effettuata nell’assegnazione del Mondiale successivo, quello che si disputerà nel 2022.
Il piccolo emirato mediorientale, infatti, ha una superficie totale di circa 11mila km quadrati ed una popolazione complessiva che non raggiunge i due milioni. Inoltre era, calcisticamente parlando, la nazione con la peggiore tradizione in assoluto, non avendo nemmeno mai partecipato ad un Mondiale.

Il calcio però, come detto in precedenza, è ormai innanzitutto un business, quantomeno a giudizio dei massimi dirigenti della federcalcio mondiale. Che più che a questioni prettamente di campo hanno evidentemente pensato ad espandere ulteriormente la presenza calcistica nel mondo, ponendo la propria bandierina anche sul Medio Oriente.

Anche quella qatarese, comunque, era una candidatura molto solida, in particolar modo sotto il punto di vista economico. Perché se in Russia saranno i grandi oligarchi a garantire certi investimenti in Qatar questo ruolo sarà svolto dai ricchissimi sceicchi, arricchitesi nel corso degli ultimi decenni grazie al petrolio.

E chissà che in una congiunzione astrale economicamente complessa come quella attuale non siano state proprio le presenze di oligarchi e sceicchi a risultare decisivi nell’assegnazione del Mondiale.

Qatar che, a differenza della Russia, non ha comunque avuto vita facile ed ha dovuto combattere sino al ballottaggio finale per avere la meglio sugli avversari che, in questo caso, erano l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud e gli Stati Uniti.

Nel corso del primo turno di votazioni, infatti, il piccolo emirato raccolse sì ben undici voti, sbriciolando la concorrenza di Corea (quattro), Giappone (tre), Stati Uniti (tre) ed Australia (uno), ma non riuscì a convincere appieno l’altra metà dell’esecutivo,che si convinse solo all’ultimo.

Nel secondo turno, infatti, il Qatar riuscì anche a perdere un voto, passando a dieci, contro i cinque di Stati Uniti e Corea ed i due del Giappone, eliminato. Nel terzo, quindi, tornarono ad essere undici i voti in favore degli sciecchi, contro i sei attribuiti agli americani ed i cinque spesi ancora per sostenere la candidatura coreana.
Rimasti solo Qatar e States, infine, furono proprio gli emirati a raccogliere la maggioranza assoluta, convogliando anche tre dei voti precedentemente andati ai coreani ed aggiudicandosi l’assegnazione del Mondiale battendo gli statunitensi 14 a 8.

Qatar che il prossimo anno potrà in qualche modo allenarsi, dovendo organizzare la Coppa delle Nazioni Asiatiche dal 7 al 29 gennaio prossimo, ma che dovrà poi affrontare numerosi investimenti per farsi trovare pronto nel 2022, quando l’evento in gioco sarà di ben altre dimensioni.

Dei cinque stadi che ospiteranno la Coppa d’Asia, per altro, solo tre saranno riutilizzati anche nel corso del Mondiale: si tratta del Khalifa International Stadium e dell’Al-Gharafa Stadium di Doha oltre che dell’Ahmed Bin Ali Stadium di Al Rayyan. Stadi, questi, che dopo la rassegna continentale verranno però modificati ed espansi: la loro capacità passerà infatti dai 50mila ai 70mila posti per il Khalifa International e dai 25mila posti attuali ai 45mila previsti per gli altri due stadi, di modo così da accogliere il pubblico che accorrerà in Medio Oriente nel 2022.
Tagliati fuori, quindi, il Qatar Sports Club Stadium ed il Jassim Bin Hamad Stadium di Doha, la capitale.

Che, comunque, avrà modo di rifarsi ampiamente.
Sei dei dodici stadi in cui si disputerà il Mondiale saranno infatti situati proprio qui. Oltre ai due già citati in precedenza saranno altresì costruiti lo Sports City Stadium, con 47500 posti, il Qatar University Stadium, con 43500 posti ed il Doha Port Stadium e l’Education City Stadium, che potranno entrambi accogliere 45mila spettatori.

Oltre alla capitale, poi, saranno anche coinvolte nell’organizzazione la già citata Al Rayyan oltre che le città di Lusail, Al Khor, Ash Shamal, Al Wakrah ed Umm Salal.
Qui, infatti, verranno costruiti tre stadi (il Luisail National Stadium, con capacità di ben 86mila posti, l’Al-Shamal Stadium, 45330, e l’Umm Salal Stadium, 45mila) e verranno ingranditi i rimanenti due (l’Al-Kohr Stadium, che passerà a 45330, e l’Al-Wakrah Stadium, che potrà contenere 45120 spettatori).

Costruzioni che promettono di essere tutte molto avvenieristiche, queste, ma che di certo non hanno evitato di far storcere il naso a molti, in quei paesi considerabili un po’ come l’elite del calcio mondiale.

Perché, è indubbio, a fronte di punti positivi come appunto quello appena citato, quello inerente al fuso orario – che quantomeno per il pubblico europeo non comporterà levatacce notturne – e quello inerente agli spostamenti – che saranno minimi, essendo il Qatar così piccolo – presenta anche dei lati negativi che non possono essere ignorati.

Uno di questi, quello relativo alle temperature medie del periodo in cui si giocherà, pare sarà risolto proprio dagli stadi stessi.
Posto che si correrà il rischio di giocare ad una temperatura vicino ai cinquanta gradi celsius, infatti, pare che gli stadi saranno tutti climatizzati, di modo da garantire, sul campo, una temperatura che possa portare i vari ragazzi impegnati sul rettangolo di gioco a rendere molto più che se fossero soffocati dal caldo incredibile che si avrà al di fuori.

Stadi che saranno per altro vere e proprie costruzioni avvenieristiche e che probabilmente sono stati la carta in più della candidatura di questo piccolo emirato mediorentale.
Guardando la presentazione degli stadi che saranno, infatti, non si può che rimanere a bocca aperta…[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=d-z2jtUS9-Y]

Un altro è invece relativo ad un aspetto puramente calcistico. Perché nella storia siamo stati abituati ad avere quasi sempre le squadre padrone di casa capaci di lottare per il titolo, o quantomeno presentabili.
Il nuovo millennio, però, ci ha da subito fatto capire come tutto ciò sarebbe rimasto un ricordo del passato mostrandoci un Giappone discreto e nulla più ed una Corea capace di arrivare in semifinale solo grazie ai tanti aiuti arbitrali ricevuti contro l’Italia e, in particolar modo, contro la Spagna.

E se il Sudafrica è stata la prima padrona di casa a non passare il turno cosa ne sarà del povero Qatar?

La risposta verrebbe facile, oggi: potrebbe essere, con ogni probabilità, la prima squadra organizzatrice a non raccogliere nemmeno un punto nel classico girone all’italiana iniziale. A perdere tutti i match disputati, insomma.
Perché, è bene ricordarlo, il Qatar è quella squadra che proprio recentemente ci ha regalato un momento di grande calcio come questo: http://sciabolatamorbida.wordpress.com/2010/11/17/immagini-dal-mondo-mai-dire-goal-rinverdisce-i-suoi-fasti-agli-asian-games-2010/

Da qui al 2012, però, le cose potrebbero cambiare.
Intendiamoci, non mi aspetto certo una repentina crescita di un movimento calcistico, quello qatarese, che basandosi su di una base cosi ristretta (come detto parliamo di meno di due milioni di persone in tutto) non avrebbe nemmeno i mezzi per poter diventare competitiva in così poco tempo, a meno di miracoli più che improbabili.

Mi riferisco, più che altro, ad una pratica di naturalizzazione che potrebbe essere messa in atto nel prossimo futuro onde accrescere artificialmente il livello medio della nazionale del piccolo emirato mediorientale.
Pratica, questa, che è già per altro in atto oggi, pur se in modo limitato.

Vantano infatti recenti convocazioni in nazionale i brasiliani Fabio Cesar Montezine, passato per altro da Napoli tra il 2001 ed il 2004,  e Marcone Amaral, passato invece da Venezia nel 2002, l’uruguaiano Sebastian Soria, ex Liverpool Montevideo, ed il guineano Daniel Gouma, ex Falcon College.

E proprio una massiccia naturalizzazione sembra possa essere l’unica speranza di costruire una squadra all’altezza di un Mondiale. Ed in questo senso le possibilità potrebbero essere due: iniziare oggi a rastrellare giovani talentini da tutto il mondo, di modo da naturalizzarli subito per ritrovarsi poi tra dodici anni con qualche campioncino nato altrove ma consacratosi in Qatar, oppure arrivare a ridosso del Mondiale per poi naturalizzare qualche giocatore già “fatto” e che sia disposto a prendersi la nazionalità qatarese pur di giocare una competizione così importante.

Intendiamoci, però: i petroldollari degli sceicchi non possono comprare ogni cosa, ed entrambe queste opzioni presentano un problema.

Nel primo caso, infatti, parliamo di un lavoro di scouting massiccio, ed è tutto da vedere se una Federazione come quella qatarese sia in grado di imbastire un qualcosa del genere.
E al di là di questo bisogna poi anche capire che giovane virgulto potrebbe essere disposto ad una cosa del genere.

Immaginatevi per un attimo un emissario della Federazione del Qatar che segue una competizione sudamericana under 17 per nazionali ed al termine della stessa avvicina un paio di giocatori brasiliani ed argentini, i migliori, per proporre loro la naturalizzazione.
La reazione di Brasile ed Argentina non si farebbe certo attendere, e sarebbe una guerra di ricorsi. Ma anche al di là di questo… un giovanissimo Messi o un giovanissimo Ronaldo che vantaggio avrebbe a diventare oggi qatarese? Giocherebbe un Mondiale in casa – anche se con una maglia che non sentirebbe propria -, ok, ma resterebbe comunque ben lontano dal calcio internazionale che conta posto che o pescano undici fenomeni assieme tutti disposti a trasferirsi là oppure non potranno certo pensare di imporsi a livello mondiale…

Simile, pur con tutte le diversità specifiche del caso, il discorso relativo ai trentenni che arrivati a ridosso del Mondiale potrebbero sicuramente essere prede più facili per la Federazione qatarese.
A mettere i bastoni tra le ruote agli sceicchi, in questo caso, sarà però quella regola che dice che un giocatore avente doppio passaporto può comunque giocare in una sola nazionale.

Questo comporta che se il Mondiale del 2022 si giocasse oggi la stragrande parte di giocatori già formati e di buon livello non potrebbe vestire la maglia del Qatar per niente al mondo.
Esemplificando: un Barzagli, che è uscito dal giro della nazionale da tempo, non potrebbe accettare una chiamata qatarese, una volta naturalizzato, in quanto ha già vestito la maglia Azzurra. E con lui moltissima altra gente che oggi in nazionale non c’è più, come Nesta, Totti o Del Piero, per restare al Belpaese.

La strada per costruire una nazionale presentabile, quindi, sarà lunga ed impervia.

Legato a questo discorso sorge poi un altro problema, quello relativo al fatto che la nazione che ospita il Mondiale è qualificata di diritto come testa di serie. E se già il Sudafrica stonava, in questo senso, una nazionale come quella attuale del Qatar sarebbe in effetti la peggior testa di serie della storia dei Mondiali…

Altra obiezione che si è levata in queste ore da parte di un pubblico, quello europeo, così conservatore da non riuscire a digerire scelte esotiche come questa è relativa all’atmosfera in cui verranno disputati i match.

Ed anche in questo caso tutti i torti non hanno, i critici. Perché il pubblico locale è ancora piuttosto lontano dal calcio e, comunque, difficilmente potrà costituire la cornice ideale ad un evento come il Mondiale.

Detto questo, però, va altresì detto che il Qatar si trova nella penisola araba, non lontanissimo proprio dall’Europa.
Facile, quindi, che in vista di quel Mondiale sarà fatto di tutto per facilitare l’arrivo di tifosi dall’estero, in special modo proprio dal Vecchio Continente. La vicinanza unita a prezzi particolarmente favorevoli che potrebbero essere applicati dalle compagnie aeree (come l’Emirates, per dire) e dagli alberghi che verranno costruiti in loco potrebbero rendere quello qatarese un Mondiale non poi così costoso per italiani, spagnoli, inglesi, tedeschi e francesi.

Nel complesso, quindi, entrambe le candidature presentavano lati positivi e lati negativi, com’è normale che sia.

Personalmente credo comunque che in un mondo sempre più globalizzato la volontà di portare il grande calcio anche laddove non è mai arrivato prima (Russia e Qatar ospiteranno infatti il primo Mondiale giocato nell’Europa dell’Est ed in Medio Oriente) sia meritoria.
Nel contempo, certo, essendo cresciuto in un mondo del calcio in cui l’esotismo era qualcosa di raro fa un po’ strano anche a me pensare ad un Mondiale in Qatar piuttosto che in Italia, Inghilterra o Argentina. Ma del resto, appunto, negli ultimi vent’anni le cose sono cambiate rapidissimamente e sarebbe oggi impensabile quanto ingiusto limitare l’organizzazione del Mondiale a nazioni classiche come quelle europee e sud americane.

E così dopo il Mondiale italiano del 1990 cinque degli otto Mondiali successivi sono stati o saranno giocati in paesi senza grandissime tradizioni calcistiche consolidate: Stati Uniti (1994), Corea e Giappone (2002), Sudafrica (2010), Russia (2018) e Qatar (2022).

Ma è un po’ lo stesso discorso fatto in riferimento alla Coppa Intercontinentale: il Mondiale per Club oggi rappresenta una competizione in cui le squadre di tutti i continenti si sfidano per il terzo posto, perché i primi due sono virtualmente assegnati già prima di scendere in campo.
Nel contempo, però, è giusto che tutti i continenti abbiano una propria vetrina mondiale, il proprio momento di gloria. E prima o poi accadrà anche che una squadra nord americana, africana o asiatica s’imponga su di un club brasiliano, argentino, inglese, italiano o spagnolo…

A quel punto, forse, le persone che riusciranno ad accettare il fatto che nel nuovo millennio il calcio non è più solo un affare Europa – Sud America inizieranno ad aumentare…

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