Vivai italiani: il mio decalogo aureo

Un paio d’anni fa scrissi un articolo inerente quelle che a mio avviso dovevano essere le regole fondanti su cui imperniare la costruzione dei vivai italiani.

Vivai italiani
Una carrellata di talenti sfornati dal sempre florido settore giovanile dell’Atalanta

Lo spunto me lo diede un interessante articolo scritto dall’amico Antonio Corsa, tutto imperniato su quella che secondo lui doveva essere la gestione di un club.

In sintesi: parte della rosa costituita da giocatori cresciuti in casa per abbassare gli esborsi, con le risorse di mercato tutte concentrate su un numero ridotto di giocatori, ma di alto livello.

Galvanizzato dal fatto che quello era anche il mio modello di gestione di un club mi resi conto che quel pezzo, molto interessante, poteva essere integrato con un focus sui vivai italiani.

Perché in Italia ormai da anni (anche se le cose stanno andando un pelo meglio ultimamente) fatichiamo molto a livello di settore giovanile.

Probabilmente per via del disinteresse che ha colpito molti nostri club nell’epoca delle vacche grasse: investire sui giovani non porta risultati immediati, così che in molti hanno abbandonato (non del tutto, essendoci regole federali che impongono determinati standard ai club professionistici) la cura dei vivai italiani.

Quei due pezzi si integravano molto bene e risultavano a mio avviso parecchi interessanti.

Purtroppo ho notato, andando a ricercare il mio scritto, che Juventibus – sito su cui all’epoca scriveva Antonio e su cui feci integrare la mia “risposta” o “integrazione” a proposito dei vivai italiani – ha rimosso entrambi i pezzi.

Così il suo non posso linkarvelo, ma il mio posso riportarlo qui. Fortunatamente in “posta inviata” ho trovato la mail che spedii il 31 dicembre del 2014 allo stesso ACB (questo il suo nick in rete) con in allegato le mie dieci regole auree vorrei seguissero i vivai italiani, o quantomeno chiunque volesse costruire un progetto importante in questo senso.

Ovviamente leggetelo pensando al fatto che sia stato scritto due anni fa.

Nel frattempo ho accumulato altre esperienze e sono cresciuto sotto tutti i punti di vista. In primis passando dal corso per scout pro a Coverciano.

Debbo dire però che fondamentalmente mi rispecchio ancora molto in questo pezzo. E mi sembra ancora molto attuale!

Vivai italiani


Permettetemi di iniziare con un piccolo back in the days.

Siamo ad inizio anni duemila quando Florentino Perez, appena eletto presidente della Casa Blanca, lancia un nuovo corso madrileno: nasce così il Real dei Galacticos, improntato su di una strategia ribattezzata “Zidanes y Pavones”.

L’idea è semplice, ed è proprio quella raccontata da Antonio: tarare il mercato sull’acquisto di giocatori di primissima fascia allocando lì tutte le risorse, per andare poi a completare la rosa con giocatori della cantera.

Ecco così che a fianco delle star milionarie (Figo, Zidane, Ronaldo, Beckham) si affacciano alla prima squadra giocatori come Carlos Sánchez, Oscar Miñambres, Borja Fernández, Rubén González, Francisco Pavon, Javier Portillo, Álvaro Mejía, Antonio Núnez, Juanfran Torres, Raul Bravo… una lista molto corposa – e magari qualcuno l’ho anche dimenticato – segno evidente di come quella di Florentino Perez fosse una strategia chiara da perseguire scientificamente, non improvvisazione lasciata al caso.

Certo, giocatori che per lo più non hanno avuto un impatto decisivo sulla squadra – Casillas e Guti erano già nel giro – ma che hanno permesso alla società di concentrare le spese su singoli campioni anziché disperdere risorse nell’allestimento dell’intera rosa.

Ma cosa serve per poter intraprendere questa strada?

Un vivaio all’altezza della situazione.
Che produca giovani calciatori capaci di poter quantomeno fare da backup a titolari e prime riserve.

Una soluzione che in Italia, dove i settori giovanili sono sempre più allo sbando, sembra non trovare grande consenso.

Ma è da lì che bisogna (ri)partire.

Proprio qui nasce il mio contributo. Un breve decalogo che a mio avviso dovrebbe fare da fondamenta alla costruzione di un vivaio importante.

Zidanes y Pavones
Zidanes y Pavones: la strategia che portò alla creazione del Real Madrid dei “Galacticos”

Decalogo aureo per i vivai italiani:

  1. Cultura: il primo passo dev’essere la costituzione di una cultura sportiva che metta al centro lo sviluppo dei giovani calciatori. Cercare a tutti i costi il risultato fin da giovanissimi porta ad una serie di aberrazioni che non contribuiscono alla crescita di un giocatore.
  2. Selezione: diretta conseguenza, i criteri con cui i ragazzi vengono scelti. Recentemente ho seguito un torneo internazionale categoria Esordienti, con la Juventus tra le partecipanti. Diversi giocatori bianconeri erano già molto formati fisicamente. Ma dal punto di vista tecnico il gap con le squadre spagnole – composte invece per lo più da giocatori di taglia media se non piccola – era nettissimo. Spesso in Italia si predilige il ragazzo già maturo perché garantisce più chance di vittoria nell’immediato. Sovente, però, questi hanno margini di crescita minori, proprio perché già arrivati ad un buon grado di sviluppo.
  3. Filosofia: seguendo molto il calcio giovanile (sia di club che di Nazionale) noto come siano rari i casi in cui una squadra italiana si trova a fare la partita. Per lo più il gioco, già in tenera età, è speculativo. I mister richiamano i propri ragazzi a seguire e marcare gli avversari, ma le idee di gioco quando si entra in possesso di palla sono spesso scarse. Guardando le squadre giovanili spagnole, francesi o tedesche, invece, si percepisce da una parte una sorta di “libertà di sbagliare”. Dall’altra, soprattutto, una filosofia di gioco capace di dare ai ragazzi gli strumenti per costruire anche una fase offensiva degna di tal nome.
    Con filosofia si può definire anche, un po’ sul modello blaugrana, una stessa impostazione tattica valida dalla prima squadra giù sino al settore giovanile, così da insegnare quel particolare tipo di calcio che i più fortunati si troveranno poi a giocare una volta sbarcati tra i “pro”. Questo però è un salto non indifferente in Italia: da quel momento in poi, infatti, bisognerebbe rivolgersi esclusivamente ad allenatori capaci di sviluppare gioco partendo da quel modulo e seguendo quella filosofia, anche per la prima squadra. Bisognerebbe creare una sorta di dogma calcistico, insomma. Ed in un paese in cui ci sono club che cambiano tre allenatori con tre stili differenti all’interno dello stesso campionato…

    Alex Ferguson
    Alex Ferguson, simbolo di una stabilità che in Italia storicamente manca
  4. Talento: diretta conseguenza, lo sfruttamento del talento. Perché il paese che ha dato i natali a Baggio, Del Piero e Totti – senza voler andare troppo indietro nel tempo – oggi non produce più giocatori di questo tipo? Proprio perché una filosofia così strettamente imperniata sul tatticismo estremo demineralizza la fase offensiva e non permette la valorizzazione del talento dei singoli, che andrebbe esaltato dal contesto di squadra. In Italia, in più, sembra quasi stia sparendo l’uno contro uno. Voler sempre e comunque vincere significa non poter sbagliare. Cosa questa in antitesi con la libertà di creare (che aumenta la percentuale di errore). La morte della fantasia all’italiana.
  5. Formazione: costituire una cultura del lavoro corretta, impostare una filosofia non prettamente speculativa, determinare criteri di scelta migliori e valorizzare il talento sono aspetti strettamente legati alla formazione. Vista da entrambi i lati della medaglia: da una parte dell’atleta stesso, dall’altra dell’allenatore. Perché tutto il lavoro di cui sopra sarà inutile se il mister verrà scelto in base al nome o al curriculum da calciatore più che per via delle sue doti di formatore.
  6. Organizzazione: ad ognuno il suo mestiere. Così come non ci si può improvvisare allenatori/formatori, ecco che ogni ruolo deve essere ricoperto da professionisti seri e formati, che capiscano la complessità dell’universo calcistico giovanile e che possano guidare efficacemente la creazione e “l’amministrazione” di un vivaio competitivo.
  7. Investimenti: spendere nel settore giovanile è un investimento a lungo raggio. Ma sempre di investimento si tratta. Spendere bene significa raccogliere dividendi importanti in futuro. Creare generazioni di calciatori di livello comporta benefici tecnici (giocatori che impreziosiscono la rosa della prima squadra) quanto economici (la cessione di un ragazzo cresciuto in casa genera plusvalenza).
  8. Valorizzazione: i giocatori si formano indicativamente in un range di età compreso tra i tredici ed i diciotto anni. Lì bisogna svolgere il lavoro formativo più importante. Poi, però, c’è la valorizzazione del calciatore. Ecco allora che io continuo a vedere di buon occhio l’idea delle “squadre B”, su modello spagnolo. Una soluzione che mi pare possa essere positiva sotto molti aspetti: inserite in un contesto professionistico darebbero modo ai giovani di valore di misurarsi con continuità ad un livello già importante, senza passare attraverso i prestiti più disparati, che spesso si rivelano semplicemente una gran perdita di tempo. In più questa soluzione darebbe ai ragazzi più meritevoli la possibilità di entrare ed aggregarsi con più facilità in prima squadra.
    Barça B
    Barça B, squadra satellite del Barcellona
  9. Volontà: inutile costruire un vivaio di livello se poi non c’è la volontà di puntare sui propri prodotti calcistici. Basti pensare all’Inter: che fine hanno fatto i giovani che vinsero la Next Generation Cup agli ordini di Stramaccioni? Possibile non ce ne fosse nessuno che potesse fare quantomeno da backup? Ecco quindi che bisogna ricominciare a vedere i giovani come una risorsa, non un peso.
  10. Scouting: questo principio non è per forza strettamente collegato allo sviluppo dei vivai italiani (ma può esserlo, a seconda dell’età del ragazzo che si va a visionare). Ma è evidente che una società all’avanguardia deve investire seriamente anche sullo scouting. Occasioni come Pogba o Coman non sono certo irripetibili. Come ho dimostrato coi miei ultimi due libri il mondo è pieno di giovani calciatori di talento da scoprire e valorizzare.

Questi sono i punti principali che a mio avviso andrebbero seguiti e sviluppati per costruire vivai italiani capaci di rifornire con costanza una prima squadra.

Lavorando bene si potrebbero promuovere tanto giocatori utili come riempitivo che qualche bel talento capace di ritagliarsi un ruolo più importante.

Alla base di tutto c’è comunque sempre quella parolina magica che in Italia, per quanto mi è dato di vedere anche al di fuori del calcio, sembra in pochi conoscano: programmazione.

Iniziare ad investire seriamente nel settore giovanile oggi darebbe risultati non prima di cinque-dieci anni. Ed in un paese in cui chiunque vuole tutto e subito è un tempo proibitivo, nonché il vero ostacolo che non permette più alla maggior parte dei club di tornare a costruire calcio dal basso.

Primavera Roma
La Primavera della Roma, che ha uno dei settori giovanili migliori d’Italia

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