Serbia-Albania vista dall’altro lato della medaglia

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Tre giorni fa ho pubblicato l’intervista al giovane blogger albanese Enxhi Fero sui fatti di Serbia-Albania: l’invasione del drone con la bandiera della “Grande Albania”, il parapiglia tra i giocatori, l’invasione dei tifosi, le tristi scene di violenza.

Beh, non parteggiando per nessuno, e volendo semplicemente provare ad approfondire quella triste vicenda, ho voluto sentire anche la cosiddetta “altra campana”.

Ho quindi contattato un grande conoscitore di calcio come Lazar Perovic per affrontare anche con lui la questione. Vista, questa volta, con gli occhi di un giovane serbo.

Partiamo dalla bandiera: avrebbe fatto differenza se al posto di quella della “Grande Albania” fosse volata sul campo la bandiera dell’Albania per come la conosciamo oggi? Insomma, l’affronto è stato il volo di una bandiera straniera o il volo di QUELLA bandiera?

Inizialmente, nessuno aveva capito che si fosse trattato di una bandiera raffigurante la “grande Albania”: ciò che si intravedeva era solamente l’aquila nera a due teste su sfondo rosso. Di conseguenza, ritengo che non avrebbe fatto molta differenza. Ciò che per me è stato assolutamente geniale, per quanto concerne il loro gesto, è l’aver fatto volare proprio nel centro di Belgrado e di fronte al presidente Nikolić e a tutti i vertici serbi, una bandiera raffigurante l’Albania “etnica”, così come la chiamano e considerano gli albanesi. Meriterebbero la vittoria a tavolino solo per aver pensato e organizzato in modo così perfetto tutto quanto. Era impossibile aspettarsi una cosa simile. È lampante che alla base di questa vicenda ci sia stata un’organizzazione non indifferente. Sono convinto che abbiano iniziato a pensarci sin dal momento del sorteggio e che tale progetto disfattista non sia stato architettato da uno o due albanesi qualsiasi, bensì da qualcuno di decisamente importante. Non sapremo mai la verità, probabilmente.

Legittimabile un atto violento non può esserlo mai. Ma quanto è capibile, da chi ha radici in quei luoghi, che il “semplice” volo di una bandiera possa scatenare la violenza che abbiamo potuto vedere in campo?

Non si tratta del “semplice volo di una bandiera”. Il gesto provocatorio degli albanesi non è da sottovalutare. Il loro sogno irrealizzabile è la creazione di ciò che la bandiera rappresentava, tale “Albania etnica”: uno stato popolato da soli albanesi e comprendente territori storicamente sempre appartenuti a stati quali la Serbia, la Grecia, la Macedonia e il Montenegro. Il “semplice volo di una bandiera” è stato motivo di orgoglio e giubilo negli incredibili festeggiamenti tenutisi successivamente a Tirana; i giocatori sono stati accolti come eroi nazionali per aver difeso una bandiera della quale, a mio parere, il 95% degli albanesi non conosceva nemmeno l’esistenza, o quantomeno il significato, prima che scoccasse il quarantaduesimo minuto della partita. Quella bandiera, effettivamente, non rappresenta alcunché di tangibile, se non il sogno “sovversivo” di una popolazione, e perciò mi ha stupito negativamente Cana per aver dichiarato che “quella della Grande Albania è la bandiera più bella del mondo”. Chi invece ho veramente apprezzato è stato Ivanović che, prima dell’inizio della partita, si è recato nello spogliatoio della squadra albanese per stringere la mano a ciascun giocatore avversario e ricordare il reale scopo della partita stessa: il calcio è uno sport e, in quanto tale, dovrebbe alimentare una sana competizione in grado di eludere i conflitti politici, etnici o religiosi; il match in questione avrebbe dovuto rimanere tale e non degenerare in un trionfo di violenza. Io, dal canto mio, la penso come il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, che ha dichiarato che si è trattata di una “provocazione irresponsabile”. È stato un gesto gravissimo ed inoltre estremamente pericoloso, che solo per l’intervento dei giocatori serbi non è ulteriormente degenerato. Poteva finire in tragedia, e non esagererei nel dire che ci sarebbe potuto “scappare” anche il morto.

Il volo della bandiera è stato letto come una provocazione. La violenza che ne è scaturita resta comunque totalmente esecrabile. Cosa pensi della decisione presa dalla UEFA al riguardo? E ancora, cosa avresti fatto tu, se avessi potuto decidere?

Si è trattato chiaramente di una gesto provocatorio. Agli avversari non interessava la partita, basti notare la foga con la quale tre giocatori albanesi si sono avventati su Stefan Mitrović, il quale aveva raccolto la bandiera per consegnarla al quarto uomo e riprendere l’incontro. Se avessero voluto giocare veramente, avrebbero lasciato Mitrović agire in tal modo. Invece no. Non è evidentemente andata così. La vicenda è degenerata: alcuni tifosi serbi sono riusciti ad arrivare in campo, eludendo la sorveglianza; altri, sono stati allontanati dagli stessi giocatori della squadra di casa, i quali hanno difeso, contro ogni aspettativa, i giocatori albanesi. L’UEFA ha preso la decisione più giusta. Penso che l’aver concesso il 3-0 a tavolino in favore della Serbia, il farle disputare due partite a porte chiuse, e l’aver multato entrambe le federazioni con 100.000€ ciascuna, siano state decisioni complessivamente equilibrate. Io, personalmente, avrei evitato di togliere i 3 punti alla squadra serba per una questione di correttezza nei confronti della scelta precedente di assegnare la vittoria a tavolino.

Giusto ieri ci sono stati disordini tra tifosi anche in un’altra “zona calda” dell’est Europa, l’ex Cecoslovacchia. Dove evidentemente alcuni dissapori continuano a sfrigolare sotto la cenere. Ancor più era quindi preventivabile che Serbia-Albani potesse essere una partita a rischio. Tre posizione: giusto giocarla, meglio non giocarla o era opportuno scegliere una via di mezzo come disputarla a porte chiuse o in campo neutro?

L’errore è stato quello di permettere che Serbia e Albania si affrontassero nel medesimo girone. La trovo una scelta assurda, dettata dall’irresponsabilità organizzativa della UEFA. Si sapeva sin dal momento del sorteggio che sarebbe successo qualcosa. Ciò che più mi spiace è che l’incontro tra i due premier Vučić e Rama, previsto per il 22 ottobre a Belgrado, è stato rinviato a data da destinarsi. È dal 1949, anno in cui Tito e Henver Xoxha si incontrarono, che ciò non accade. Stiamo parlando di ben più di mezzo secolo. Quello che sarebbe dovuto accadere il 22 ottobre 2014, avrebbe potuto essere un piccolo segnale di distensione e un modo per normalizzare i rapporti.

Infine, il pensiero corre già al match dell’anno prossimo, la gara di ritorno. Certo non sarà una partita normale. Come agire onde evitare si ripetano i problemi visti settimana scorsa?

Manca un anno a quella partita, ma credo sia praticamente certo che essa verrà giocata o in campo neutro o a porte chiuse. Perciò, ritengo che, salvo imprevisti, non ci saranno problemi di grossa portata. Confido in una organizzazione più efficace e sicura per i giocatori.

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1 commento

  1. Ahime hai raggione…., i Serbi mentre gridavano in coro uccidete i Albanesi per 40 minuti di fila non bisognava provocarli perche magari lo facevano da vero.Tanto lo hanno dimostrato che ne sono capaci.Poveri Serbi li puoi provocare facilmente …

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