Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?
La domanda è semplice, ma non quanto la sua risposta.

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Il Napoli punta troppo poco sulle giovanili pur navigando in un mare molto pescoso: la Campania.

Ma partiamo dall’inizio.

I risultati raggiunti da Aurelio de Laurentiis come proprietario della società partenopea sono evidenti ed incontestabili.

Il magnate del cinema prese la guida della società nel 2004, dopo il suo fallimento, iscrivendo l’allora Napoli Soccer alla Serie C1.

Nell’arco di questi tredici anni ha quindi raccolto diversi risultati notevoli:

  • vittoria della terza serie;
  • secondo posto in B alle spalle della Juve nella stagione post-Calciopoli;
  • vittoria di due Coppe Italia;
  • vittoria di una Supercoppa Italiana;
  • ha giocato una semifinale di Europa League;
  • ha centrato due secondi e tre terzi posti in Serie A;
  • è diventata quest’anno la prima antagonista della Juve che ha dominato gli ultimi sei anni di calcio italiano.

In tutto ciò c’è però un ma, un’ombra che macchia almeno parzialmente il suo lavoro: il Napoli produce pochi calciatori, non puntando come dovrebbe sul proprio settore giovanile.

Lorenzo Insigne, il Magnifico della fascia sinistra del tridente sarriano delle meraviglie, è infatti una rondine.
Che però, in quanto tale, non può fare primavera.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Torniamo quindi alla domanda iniziale: perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché la Campania è una regione che ha sicuramente delle fragilità, anche importanti, a livello socioeconomico. Ma che d’altro canto porta in sé una dote di talento importante.

Se avete almeno una ventina d’anni chiudete gli occhi e fatevi cullare da queste parole: è la sera del 9 luglio 2006, il palcoscenico è quello scintillante dell’Olympiastadion di Berlino e sono circa le dieci e mezza di sera.

Lì, in quel luogo ed in quel momento, uno scugnizzo del rione La Loggetta, quartiere di Soccavo, si trova a sollevare davanti a milioni di occhi sognanti la Coppa del Mondo.

Un campione napoletano, nato e cresciuto in città e svezzato al calcio dalla Società Sportiva Napoli ha appena guidato la nazionale italiana a vincere per la quarta volta il Mondiale e da lì a qualche mese verrà insignito anche del Pallone d’Oro.

Quasi un unicum, però.

Napoli, e più in generale la Campania, ha infatti un potenziale calcistico di inestimabile valore.

Che però lo stesso Napoli, soprattutto negli ultimi anni, sembra non considerare. Non valorizzare.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile è quindi presto detto: se in Campania, e più in generale nel Sud Italia, le realtà calcistiche che danno certe prospettive sono meno che al nord significa che la Società Sportiva Napoli può – e deve – porsi a riferimento dell’intera regione, crescendo in seno a sé i talenti più cristallini per provare a produrre tanti nuovi Lorenzo Insigne.

Il discorso non è campato per aria, e voglio provare a dimostrarvelo.

Partendo da un concetto: ha senso che un campano debba emigrare a centinaia di chilometri da casa per diventare un calciatore di livello quando a pochi chilometri ha una delle società più importanti del panorama nazionale?

Primavera Napolil

Facciamo un po’ di nomi, allora. Così possiamo provare a capire meglio questo fenomeno.

Partiamo dai guardiani dei pali.

Il Napoli in rosa, in realtà, ha un prodotto del proprio settore giovanile: Luigi Sepe, entrato in società all’età di 16 anni ed oggi vice di Pepe Reina.

Però nel corso degli anni diversi sono stati i talenti campani che sono emigrati e sono diventati calciatore altrove.

Pensiamo in primis a quel Gigio Donnarumma che a 14 anni si trasferì a Milano diventando, in breve tempo, addirittura titolare di una nobile del calcio europeo come il Milan. Un talento assoluto nato a Castellammare di Stabia che dal “Club Napoli” passò appunto in rossonero. Quando invece, in maniera più naturale, avrebbe dovuto essere prelevato dagli Azzurri.

In maniera similare potremmo fare lo stesso discorso anche per il fratello Antonio, alla Juve Stabia sino al 2005 e poi per cinque anni in Lombardia.

O ancora un altro stabiese, Antonio Mirante, che dopo Sorrento completò la sua formazione alla Juventus, nelle cui giovanili giocò anche il cavese Stefano Sorrentino, passato anche per la Lazio.

Parliamo di quattro portieri attualmente tesserati per club di Serie A, uno dei quali per altro sarebbe anche titolare fisso agli ordini di Sarri.

Potevano essere tutti e quattro tranquillamente prelevati a due passi da casa, ma il Napoli ha lasciato si trasferissero, crescessero e sbocciassero altrove.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile penso lo stiate iniziando a capire.

Venendo alla difesa, regno del succitato Fabio Cannavaro che proprio da Napoli partì per soggiogare il mondo, non troviamo un talento fenomenale come Gigio Donnarumma, ma dei giocatori di livello che avrebbe avuto assolutamente senso acquisire giovanissimi e svezzare in casa, lanciandoli poi nel calcio che conta.

Mimmo Criscito

Mimmo Criscito ad esempio nacque a Cercola, comune alle porte del Parco Nazionale del Vesuvio. Cresciuto nello Sporting Volla passa al Genoa nel 2002, migrando quindi in Liguria per poter firmare per una società professionistica. Il biennio come primavera lo gioca invece alla Juventus, che poi si rimpallerà per qualche anno il giocatore coi Grifoni, prima che arrivi lo Zenit nel 2011 a prenderselo e portarlo definitivamente via dall’Italia.

Se per Ignazio Abate possiamo dire che l’appartenenza campana è solo di nascita, essendo nato a Sant’Agata de Goti ma essendo cresciuto in Lombardia, diverso può essere il discorso che riguarda Danilo D’Ambrosio: nativo di Napoli, crebbe nella Salernitana da cui si svincolò nel 2005, col fallimento della società. Non furono però gli Azzurri ad avventarcisi, ma Blues, ovvero il Chelsea, e Viola, ovvero la Fiorentina. Alla fine a spuntarla sugli inglesi fu proprio la società toscana, che lo integrò alla propria primavera.

Altri difensori campani che non sono stati accolti e cresciuti dalle giovanili del Napoli ma che avrebbero potuto far comodo sono:

  • Salvatore Bocchetti, cresciuto tra Piscinola ed Internapoli prima di passare all’Ascoli all’età di 15 anni;
  • Ciro Capuano, che passa da Portici e Sant’Anastasia prima di venire acquistato dall’Empoli nel 1999;
  • Gaetano Letizia, che cresce a Scampia e gioca tra Promozione e Serie D con San Vitaliano e Pianura prima di diventare professionista all’Aversa Normanna;
  • Christian Molinaro, nato a Vallo della Lucania e diventato calciatore tra Gelbison e Salernitana prima di sbarcare a Siena e poi giocare un triennio alla Juventus;
  • Andrea Rispoli da Cava de’ Tirreni, cresciuto nell’Alba Cavese da cui nel 2006 venne prelevato dal Brescia, dove completerà la propria crescita come calciatore e giocherà due stagioni e rotti in Serie B;
  • Giuseppe Pezzella, tra il 2009 ed il 2013 al Monterusicello, frazione di Pozzuoli, dai 15 anni tra le fila delle giovanili del Palermo, dove fu fortemente voluto dall’allora responsabile del settore giovanile rosanero Dario Baccin.

Giuseppe Pezzella

Tutti giocatori con un presente o un passato più o meno importante in Serie A che dovettero però abbandonare la Campania perché il Napoli non puntò, almeno non con la dovuta decisione, su di loro.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile, quindi?

Per far sì che uno come Rolando Mandragora, originario di Scampia, non debba migrare a 16 anni in quel di Genova per essere accolto dal Grifone, come già Criscito prima di lui. Dopo Ponticelli e Mariano Keller, infatti, fu Michele Sbravati a dargli fiducia. A ragione, se è vero che oggi è capitano della nostra under 21, oltre che titolare al Crotone e tra i giovani più interessanti dell’orbita Juve.

Mandragora è solo l’ultimo di una serie di centrocampisti campani che non sono passati dalle giovanili azzurre. Tra gli altri possiamo ricordare:

  • Antonio Nocerino, sbarcato alla Juventus alla tenerissima età di 13 anni e tornato come calciatore in Campania solo con la maglia dell’Avellino;
  • Ciccio Lodi, che muove i primi passi tra Oasis Club di Frattamaggiore e US San Nicola di Castello di Cisterna prima di passare, solo undicenne, all’Empoli;
  • Giuseppe Vives, che fino a 17 anni milita nel Napoli Club Afragola da cui poi lo preleva il Sant’Anastasia, iniziando la propria carriera tra i Dilettanti;
  • Giulio Migliaccio da Mugnano di Napoli, cresciuto nel Savoia ed arrivato oggi alla sua tredicesima stagione in Serie A.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Ciro Immobile

Forse perché Ciro Immobile da Torre Annunziata, attuale punta della Nazionale Italiana, dopo Salernitana e Sorrento non passò al Napoli, di cui non ha ancora mai vestito la maglia, bensì alla Juventus, dove tra l’altro eguaglierà il record di marcature, 14, al Torneo di Viareggio.

O anche perché Fabio Quagliarella da Castellammare di Stabia nel Napoli ci ha giocato sì, ma sbarcandoci a 26 anni, essendo un prodotto del settore giovanile del Torino.

Non siete soddisfatti?

  • Marco Borriello cresce nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, ma già a 14 anni viene incorporato nelle giovanili del Milan. 127 gol in carriera, è l’ennesimo napoletano diventato grande lontano da Napoli;
  • Raffaele Palladino inizia invece a calciare il pallone negli Amici di Mugnano, passando poi un paio d’anni a Benevento da cui nel 2002 lo preleva la Juventus: in Campania ci torna sì, ma quando ha già vent’anni ed i bianconeri lo prestano alla Salernitana;
  • Massimo Coda cresce invece nella Cavese, tra il 1998 ed il 2005. Il Napoli non ci mette le mani sopra, lui esordisce in C2 e poi passa al Bellinzona. Oggi in Campania c’è tornato, ma per affrontare la Serie A col Benevento;
  • Daniele Verde calciatore c’è invece diventato a Roma, ed oggi la Serie A la sta affrontando a Verona. Prima dei giallorossi, dove venne portato da Bruno Conti in persona, ha vestito le maglie delle piccole San Domenico, Pro Calcio e Pigna.

Daniele Verde

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché quello campano, quindi anche senza pretendere che la rete di scout giovanile si sviluppi per tutto lo stivale, è un mare pescoso come abbiamo visto.

Non sto dicendo che il Napoli dovrebbe mettere in scena una riedizione bilbaina, ma in salsa campana, di ciò che in Spagna è l’Athletic.

Non voglio dire che gli azzurri dovrebbero costruire una squadra autoctona con la quale provare a sfidare le super potenze del calcio italiano e mondiale.

No.

Ciò che voglio dire è che la Campania avrebbe molto da offrire al calcio italiano, ma per farlo ha bisogno di qualcuno che provi a valorizzare al meglio il talento dei suoi figli.

E nessuno può farlo meglio del Napoli, per potenziale economico e per rappresentatività di un popolo.

Non solo: costruire una giovanile importante raccogliendo i talenti di una regione così pescosa permetterebbe di trovare nuovi Insigne da portare in prima squadra, posto che un calciatore fatto in casa avrà sempre un occhio di riguardo da parte della propria tifoseria.

E, se proprio non all’altezza, questi calciatori potrebbero comunque portare plusvalenze o essere inseriti in scambi con calciatori ritenuti più adatti.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché oggi, se proprio vogliamo lasciarci andare all’utopia onanistica dell’autoctonia campana, il Napoli potrebbe schierarsi con Gigio Donnarumma in porta, Abate o D’Ambrosio e Criscito a fungere da terzini con Izzo e Cannavaro centrali, il duo NocerinoMandragora a centrocampo con Insigne e Verde sulle fasce e davanti la coppia di bomber QuagliarellaImmobile a produrre gol e gioia in nome e per conto del popolo campano.

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile?

Perché non è vero che in Italia manca il talento.

La verità è che, soprattutto al sud, mancano la volontà, i progetti e le strutture per valorizzarlo, questo talento.

Ecco perché il Napoli dovrebbe puntare sul proprio settore giovanile: perché il calcio italiano ne ha bisogno.


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