L’Opinione – Cari ragazzi, lasciate l’Italia…

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Chi mi conosce capirà il dolore che mi può provocare scrivere un pezzo come questo. Ma del resto un motto di vita che penso sia bene seguire è “Obbedienza alla verità”, e di fronte ad un dato di fatto non posso che chinare il capo e fare un passo indietro.

Partiamo allora dal principio: amo l’Italia profondamente e non vorrei mai doverne parlare male, tanto meno lasciarla.

Però i problemi del nostro paese sono sotto gli occhi di tutti, ed ogni tanto ammetto che la tentazione di pensare ad una vita all’estero mi viene.

Venendo al calcio, anche qui i problemi sono molteplici: nell’arco di pochi anni il nostro movimento si è involuto tantissimo, e sotto ogni punto di vista: l’under 21 da dominatrice assoluta del palcoscenico europeo fa ormai fatica a qualificarsi all’Europeo stesso, la nazionale maggiore viene da due Mondiali assolutamente disastrosi, i nostri club perdono talenti senza riuscire a porre un freno a questa emorragia, ed in chiave internazionale sono ormai spettatori passivi dei trionfi altrui.

In tutto questo “bel” quadretto si aggiunge quindi la nostra atavica ritrosia a puntare sui giovani, cosa riscontrabile nel calcio come in un po’ tutti i settori della nostra società.

Il tutto, rimanendo proprio al nostro sport preferito, si traduce in giovani promesse bruciate, esplosioni tardive, demineralizzazione dei nostri settori giovanili, per altro ormai – anch’essi – invasi dagli stranieri.

Tutto questo cosa comporta?

Spazi ridottissimi per emergere.

Un ragazzo di potenziale oggi deve battagliare per il posto con coetanei che arrivano da tutto il mondo. Che magari non sono più forti, ma più pronti e maturi sì. E se non giochi non cresci.

Poi, una volta terminato il proprio periodo di formazione, o sei un predestinato o vieni costretto a girovagare per l’Italia, per lo più nelle serie minori, alla ricerca di qualcuno che ti dia un posticino al sole. Che punti sulle tue qualità e provi a svilupparle. Che contribuisca a renderti un calciatore “vero”. Che ti infonda fiducia nelle tue capacità e ti permetta di sbocciare.

Ecco, proprio quest’ultimo è il punto: fiducia.

Tutto ciò che in Italia sembra non venire mai accordata ai giovani, che pure ne avrebbero estremo bisogno. Perché parliamoci chiaro: a parte qualche raro caso di ego ipertrofico, mediamente a vent’anni hai bisogno ti sia data fiducia, per averne in te stesso.

Puoi essere caratterialmente forte e portato a lottare per natura, ma serve comunque la fiducia dell’ambiente per poter crescere nel migliore dei modi.

Senza fiducia, di solito, si finisce per giocare poco, essere accantonati al primo errore e, soprattutto, alla lunga si può iniziare ad autoconvincersi del fatto che non si è all’altezza della situazione.

Ovviamente le mie sono elucubrazioni personali, ma credo che se negli ultimi anni la maggior parte dei nostri talenti non sia arrivata a compiere quanto gli veniva pronosticato in gioventù sia in primis per questa mancanza di fiducia. L’esatto opposto di quanto accade in sistemi come quello spagnolo (sbocciato negli ultimi anni e capace di lanciare giovani talenti a ripetizione), francese (un po’ come da tradizione), almeno parzialmente inglese (i casi sono molteplici, sicuramente molti più che in Italia) e tedesco (dove si trovano minorenni tranquillamente titolari anche in Bundesliga).

Il punto è questo: se a 17 anni sei titolare in una massima serie, a 20 avrai già tre campionati alle spalle, un buon bagaglio d’esperienza e soprattutto, se vali, un certo patrimonio di fiducia nei tuoi mezzi. Del resto se fossi scarso non ti saresti fatto tre anni da titolare in Liga, Premier, Ligue 1 o Bundesliga.

Così ti ritrovi a vent’anni ad essere quasi un veterano, con però ancora molta prospettiva di crescita davanti a te. Un po’ la stessa prospettiva che hanno i nostri giovani in Italia, che però mediamente a quel punto di esperienza ad alto livello ne hanno zero ed ancora sono lì a chiedersi se un posto in Serie A possono valerlo.

Nomi?

Pellè ne è l’emblema. Ma anche il redivivo Okaka. Così come tutta una serie di giocatori che hanno ormai tra i 23 ed i 25 anni, ma che ancora non sono riusciti ad imporsi davvero ad alto livello, pur avendo le possibilità di farlo.

Quindi?

Quindi per quanto mi costi dirlo, forse i nostri giovani dovrebbero iniziare a pensare a strade alternative, esattamente come succede al di fuori del calcio.

Personalmente esperienze di vita all’estero non ne ho fatte, proprio per via di quell’amore spassionato che mi lega alla mia terra, da cui vorrei non separarmi mai.
Ma di amici che non trovando grandi prospettive di vita hanno deciso di darsi una chance altrove ne ho parecchi. E di tutte le estrazioni sociali e le competenze. Dal ragazzo che vive da anni in Australia all’amica che fa la ricercatrice in Francia, passando per il cameriere londinese e l’impiegata tedesca.

Ecco, un po’ allo stesso modo se avessi un figlio di 15-16 anni al massimo che fosse particolarmente portato per il calcio e mi desse l’impressione di poter avere prospettive di livello, credo proprio lo porterei altrove.

Perché ripeto, qui l’iter è noto: cresci in un settore giovanile dove si pensa più a vincere i tornei che non a formare i ragazzi e dove se atleticamente sei maturo giochi anche qualora ci siano panchinari tecnicamente più dotati di te.

Terminato il biennio della Primavera vieni dirottato in Lega Pro. Tutt’al più in Serie B, ma sei quasi più un’eccezione a conferma della regola che non altro. Se poi gli astri si allineano, allora forse si possono schiudere direttamente le porte della Serie A, dove però o sei un mini-fenomeno oppure non giocherai praticamente mai.

Così inizi a girare, spesso a vuoto, per l’Italia. Perché poi anche in Lega Pro, per quanto tu possa essere forte, sarai considerato un “bambino”, ancora troppo inesperto perché ci si possa fidare di te.

E allora potresti finire col non giocare molto. E le volte che giocherai, il livello sarà comunque bassino, non così tanto performante da farti sviluppare appieno il tuo potenziale.

Poi dopo un lungo girovagare e alla fine di un periodo in cui i tifosi si saranno dimenticati di te qualcuno potrà dire “ai tempi quello prometteva bene”, e magari darti una chance. Ma nel frattempo tu ti sarai sentito così sminuito dal corso della vita e della tua carriera da non poter più dare ciò che in potenza avresti potuto.

Ok, è una ricostruzione forse un po’ estrema dei fatti, ma in molti casi succede così. E’ sotto gli occhi di tutti.

Per me ruota più o meno tutto attorno alla fiducia. Che in Italia manca.

Ah, un ultimo appunto: migrare all’estero non deve significare per forza andare al Chelsea, al Real o al City.

Anzi.

Un po’ perché sono squadre che spesso sono multietniche già nelle giovanili, e quindi ti troveresti comunque a dover sostenere un livello di competizione altissimo. Un po’ perché mediamente poi lo spazio in prima squadra sarebbe ridottissimo.

Dovessi guardare all’estero io, farei una bella cernita di tutti i settori europei più importanti, soppesando i vari fattori per poi decidere dove provare ad infilarmi.

Per dire, in Inghilterra guarderei subito al Southampton, prima che a realtà più blasonate. Così come non mi spiacerebbe un Benfica o un Ajax, venendo a campionati di minor spessore. Per non parlare dell’Anderlecht, sicuramente tra le squadre in cima alla lista.

Anche il PSG ha un ottimo settore giovanile, ma purtroppo scarsi sbocchi in prima squadra.

Insomma, ragazzi miei, pensateci bene. Forse è arrivato il momento di strigliare il nostro paese. Lasciarlo e fargli capire che se non si dà una mossa e non cambia velocemente, il suo futuro sarà sempre più nero…

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